Non so se qualcuno se li ricorda i rumori di fondo, il grido della folla forte come un tuono, e poi il radiocronista Roberto Bortoluzzi che dallo studio centrale di Tutto il calcio minuto per minuto perfezionava il collegamento con lo stadio in questione.
Allora? “Non è successo niente!”, chiariva subito il giornalista inviato, alzando un po’ la voce per farla distinguere dal rombo tumultuante.
Sì, non è successo niente. Anche a questo abbiamo pensato, dopo più di mezzo secolo da quando si riscontrarono i primi segni di inquinamento del lago di Varese, nel leggere alcuni molto recenti titoli di giornali quotidiani locali: “Proteggiamo il nostro lago!”, “Inquinamento, al vaglio i controlli dell’ASL”, e così via.
I segnali – ma di che segnali si tratta? – sembrano arrivare proprio dalle stesse persone e da quella stessa zona lacustre molto autoctona anche per i reperti neolitici ritrovati e dove, non tanto tempo fa, invece, ci si gettava a bagno per dimostrare che i nuovi politici avevano risolto, dopo tanto penare, il problema dei problemi. L’avvenuto recupero – chiare e fresche e dolci acque, monte Rosa innevato sullo sfondo – veniva anche descritto da volantini distribuiti nelle cassette postali, specie in prossimità delle elezioni amministrative.
Qualche dubbio che le cose non andassero come si voleva dimostrare però c’era, perché i cartelli di divieto di balneazione dalle spiagge, Schiranna compresa, nonostante i lavori di ripristino svizzero tipo lago di Lucerna, una Pax Helvetica con ben altri esiti, non erano mai stati rimossi. Né a Varese né, ancora ad esempio, a Gavirate. Adesso, nei titoli e negli allarmi che si leggono – più o meno gli stessi di più di cinquant’anni fa – scopriamo che quei tuffi erano stati fatti impunemente a rischio di tifo e di leptospirosi. Anni e anni di speranze: milioni, miliardi, di nuovo milioni (di euro), attese e speranze svaniti.
Davvero, non è successo niente. Non vi si vorrebbe più tornar sopra, perché è già stato speso tanto fiato (e presto, purtroppo, si spenderanno denari), ma dal lago passiamo in un battere di ciglia o in un voltar di pagina al Sacro Monte, al suo rilancio, un altro tema di cui forse si discetta anche da più di cinquant’anni, al famigerato e paventato parcheggio sotterraneo della Prima Cappella. Un comitato cittadino, che a Varese è proprio una rarità quasi come veder crescere un fungo nel salotto di casa, raccoglie cinquemila firme per dire ai soliti: fermiamoci un momento e discutiamone, vediamo, analizziamo bene tutti i pro e i contro della storia. Risultato? Non è successo niente.
Meglio: non succederà niente, perché quando si annunciano commissioni e si sostiene altresì che “il progetto va avanti”, il sospetto è quello del “me ne frego” e della presa in giro. Nel tanto deprecato parlamento romano, che è madre di tutte le battaglie democratiche, quando si vuole fare un po’ di nebbia si nomina una commissione di inchiesta; alla fine la “maggioranza” redige le proprie opinioni, la “minoranza” fa le sue, e tutto resta come prima, madama la Marchesa. Bene, in ogni caso, fanno e faranno gli Amici del Santuario a mettere per iscritto le loro preoccupazioni. Se si registreranno guai (non impossibili) vi sarà chi – di persona e non come collettivo politico – dovrà pagare un conto salato.
Non è successo niente. La mente – ah questa faccenda dei ricordi! – va a un giorno d’inverno di più di vent’anni fa quando le TV di paesi di tutto il mondo – pure del Giappone – stazionavano nei giardini di Palazzo Estense per annunciare Urbi et Orbi che proprio qui, da Varese, partiva un caso di rinnovamento politico: dopo anni di governo in cui avevano prevalso anche lobby e corruttele arrivava una gestione nuova, partecipata, del tutto indigena, che avrebbe disciplinato la cosa pubblica con il cosiddetto “buon senso del padre di famiglia”. A parte che la dicitura molto probabilmente tende oggi a sparire anche dai testi giuridici, a favore del “buon senso di Internet”, con Umberto Bossi e i suoi si rivelò inadeguata, se non proprio completamente infelice. Sono passati tanti anni. E non è successo niente.
Ma noi siamo ottimisti inguaribili. Non è detto che talvolta, magari all’ultimo minuto, nel più totale silenzio della folla, non si riesca a infilare un bel contropiede: uno a zero per gli “ospiti” e via, tutti a casa.
Anche nelle storie di una città, di una vita, come nelle partite di calcio, ciò che conta è il risultato.
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