Il 25 Aprile, ricorrenza della Liberazione dalla tirannide nazifascista, data che poneva fine alla mostruosità di un periodo in cui certamente l’Uomo era morto, sui campi di battaglia e nei lager dove furono gassificati sei milioni di ebrei e “diversi” (zingari, omosessuali, malati). Urla agghiaccianti si erano alzate verso il cielo, bestemmie: dov’è Dio? Lo si gridava perché l’Uomo non esisteva più, la terra disconosceva il cielo e il cielo riconosceva che il rifiuto di ogni fragile anelito di bontà, tolleranza, rispetto, solidarietà, amicizia, comprensione, pace, amore era stato spaventosamente spazzato via dagli esseri umani seppellendo il marcio marchio del “libero arbitrio”, connotato di fede e di negazione, di credo e di diniego, di cristiano e di agnostico. Pensiamoci: un Dio che incatena gli uomini al Suo credo, che li vuole schiavi della Sua pratica religiosa è certamente un dio che va rifiutato, negletto. Dio è Amore.
Dio c’era il 9 ottobre del 1944 dell’era cristiana, a Varese, nello spiazzo erboso antistante l’Ippodromo delle Bettole, c’era davanti a un criminale gesto omicida, bestiale manifestazione dell’essere definito pensante, dove tre giovani venivano fucilati e massacrati dalla milizia fascista. Questo era il fascismo, negazione di tutte le libertà: manganellate, olio di ricino, retate, luridi spioni, intimidazioni, pestaggi, miseria, fame, guerra, stragi, carri ferroviari carichi di disperati destinati ai campi di concentramento nazisti, quelli degli amici di Mussolini: questo, squallidi epigoni contemporanei di una nostalgia folle, era il fascismo, erano i fascisti di ogni risma e specie.
Elvio Capelli, Luigi Ghiringhelli, entrambi di 20 anni e Evaristo Trentini, di 23 anni rispettivamente di Voldomino, Luino e Clivio erano giovani partigiani che avevano consacrato le loro esistenze alla Libertà, conla Lmaiuscola, con tutto quel che comportava e comporta questo altissimo valore. Mentre riposavano alla Gera di Voldomino, in un cascinale, furono sorpresi nel sonno dai brigatisti neri in seguito a una delazione, la più nefanda delle prese di coscienza. Era il 7 ottobre ’44. Furono trasferiti a Varese e due giorni dopo senza alcun processo furono fucilati.
Chi scrive era presente all’esecuzione: avevo 10 anni e abitavo in viale Valganna22, atrecento metri di distanza dal luogo del crimine. Avevo seguito con altri due amichetti i movimenti di due camionette della GNF (Guardia nazionale fascista) la cui destinazione fu lo spiazzo che ho ricordato. I giovani partigiani scesero da una delle camionette e furono allineati con le spalle rivolte al viale Ippodromo. Ho nella mente le loro figure e ne ricordo uno che aveva i calzoncini corti. C’era anche un prete, avanti negli anni, per me giovanissimo, con capelli bianchi. Si chiamava don Giuseppe Tornatore, ed era un cappellano militare (questa notizia la seppi negli anni successivi).
Perché Dio c’era? Perché il sacerdote aveva chiesto ripetutamente ai carnefici di essere sacrificato lui al posto dei tre partigiani ma le sue suppliche non furono esaudite. Vidi i tre parlottare con il prete, poi la scarica e i loro corpi cadere a terra. Non individuai chi fosse perché ignoravo tutto della loro storia: dopo la fucilazione uno degli assassini con la baionetta innestata sul fucile vibrò un colpo secco su una gamba staccandone un brandello. Non fu un gesto eroico, il mio, assolutamente perché non ne avevo coscienza del fatto, ma istintivamente sputai da breve distanza contro il milite. Questi mi affibbiò due sonori ceffoni che mi fecero traballare e incutere molta paura. Mi allontanai sgomento e impaurito correndo a casa dove raccontai sconvolto la tragedia a mia madre che mi rimproverò duramente, punendomi con la proibizione di scendere in cortile per due giorni.
Un’ultima annotazione personale: mio padre che andò sul posto a rendere omaggio ai caduti che furono lasciati un giorno sotto una pioggia torrenziale, parlandone con i vicini lo sentii dire “Ho visto che c’erano pochissime persone, lì”.
Il 25 Aprile è passato, come tantissimi altri, rilevando che il tempo ha gettato una coltre di smemoratezza, incuranza per questa data che ha segnato l’inizio di una nuova stagione di democrazia e di pace per il Paese. Ormai le date sono solo occasione di passeggiate, gite, pellegrinaggi ai supermarket. Verranno altre ricorrenze, verrà il 1° Maggio e moltissimi con ironia diranno: “Era la festa dei lavoratori!” e giù a ridere. E continueremo a ridere e a dimenticare, a voler dimenticare perché come ha detto il signor Salvini che guidala Lega: “Lo Stato non fa più paura a nessuno”, in altre parole i valori non contano più e il passato non ci appartiene più, è patrimonio esclusivo di quelli che hanno dato la vita per renderci liberi. Allora “chi ha dato ha dato, scurdammoci u’ passato, paisà”. O faremo ancora i conti con quello che ci sta alle spalle, doloroso o glorioso
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