Il Sacro Monte è il riferimento autentico della città giardino, una stella polare per i suoi abitanti, un richiamo invece per chi viene da fuori e ancora non conosce quel miracoloso microcosmo di arte, di fede, di vita. Un tempo per raggiungerlo non vi era altra possibilità che quella di mettersi in cammino. Poi quella lenta di rari carri cigolanti trainati da buoi pazienti, quindi la grande stagione delle tramvie e delle funicolari, infine quella rapida, ma violatrice del borgo, delle automobili e dei pullman. Ma vi è anche una ulteriore opportunità, la più faticosa di tutte, quella dell’ascesa in bicicletta consigliabile solo a chi ha messo un numero discreto di chilometri nelle gambe, nel cuore e nei polmoni. In caso contrario potrebbe diventare un esercizio “penitenziale” al limite dell’autolesionismo.
È dunque naturale che il Sacro Monte e il suo fratello più alto Campo dei Fiori siano diventati nel tempo anche una montagna del ciclismo, da quando l’attrezzo chiamato bicicletta ha soppiantato il cavallo senza essere a sua volta soppiantato dai mezzi di locomozione successivi. E pensare che negli anni Sessanta, quando lo stordimento motoristico era allo zenit, un intenditore come Gianni Brera firmò un libro il cui titolo aveva il valore definitivo di un’epigrafe: Addio bicicletta.
Per fortuna fu solo un arrivederci perché dalla fine dei settanta la bicicletta, nelle sue diverse e moderne declinazioni, ha ritrovato seguaci e una nuova primavera,anche non agonistica. È questo rinascimento su due ruote, talvolta coniugato con motivazioni devozionali, a portare ciclisti sempre più numerosi a sfidare le rampe arcigne della montagna sacra. Un tempo era una prerogativa riservata quasi in esclusiva ai professionisti del pedale che in provincia sono stati centinaia e molti fra loro di assoluto valore nazionale e internazionale.
Alfredo Binda, il più grande di tutti, di tanto in tanto scollinava sulla montagna varesina anche se il Cuvignone, prossimo alla sua abitazione di Cittiglio, era la palestra preferita. Forse vi è salito anche Luisin Ganna, indunese, vincitore nel 1909 del primo Giro d’Italia ma le grandi pendenze non erano il suo piatto preferito. Amava invece salirvi Gino Bartali ogni qualvolta il mestiere di ciclista lo portava a Varese. Come nella lunga vigilia dei mondiali del ’39, quando tutto era organizzato a puntino ma l’attacco di Hitler alla Polonia fece precipitare gli eventi e cancellare il grande appuntamento.
Alfredo Binda aveva da poco svestito i panni del campione per indossare quelli del Commissario tecnico, un predestinato alla leadership. In quella veste radunò i suoi atleti, Gino Bartali, Olimpio Bizzi, Giordano Cottur, Mario Vicini per i professionisti, Gino Fondi, Domenico Pedevilla , Fiorenzo Magni e Toni Bevilacqua per i dilettanti. Gli ultimi due nel 1951 sarebbero stati 2° e 3° dietro a Ferdy Kùbler. Li convocò all’albergo Europa di via Sacco per rifinire tutti insieme la preparazione secondo un calendario personalizzato. Spesso nel menù giornaliero degli allenamenti di Bartali, allora venticinquenne e già vincitore di due Giri d’Italia e del Tour del’38, era compresa l’ascesa finale al Sacro Monte con sosta al Santuario.
Un giorno di quel fine agosto ’39, Binda decise che una visita di tutti quanti al Sacro Borgo sarebbe stata opportuna. “Salirono in automobile – annotò Il cronista della Cronaca Prealpina, Umberto Bagaini – per poi scendere a piedi lungo le cappelle. Gino Bartali si appartò in lunga e fervida preghiera e fece accendere numerosi ceri dinnanzi alla statua della Madonna miracolosa”. A ben pensarci il Sacro Monte é per vocazione geografica il monte tutelare della più importante gara varesina,la Tre Valli, che da sempre ne sfiora le pendici, in un senso o nell’altro, nella strettoia di Fogliaro.
Perché il grande ciclismo fissasse un suo traguardo importante sulla montagna varesina si dovette però attendere il 3 giugno 1957 per la sedicesima tappa del Giro d’Italia,la Sion–Varese di229 chilometri. Lo striscione fu posto davanti al Grande Albergo del Campo dei Fiori non ancora avviato sul desolante sentiero della sua splendida decomposizione.
Vinse in solitudine, come da copione sotto una pioggia battente, un gregario di belle speranze, Alfredo Sabbadin. La maglia rosa finale andò invece a Gastone Nencini, coriaceo toscano che in carriera si aggiudicò quel Giro e un Tour de France. Sei anni dopo fu il Tour de Suisse (16 giungo 1963) a chiudere al Campo dei Fiori una sua tappa decisiva, la cronometro Mendrisio – Varese di38 km. La vinse il ticinese Attilio Moresi ma a Berna la maglia oro vestì le spalle di un grande atleta di casa nostra, il besanese Giuseppe Fezzardi.
Il grande ciclismo sfiorava il Sacro Monte senza tuttavia mai approdarvi, quasi un diniego come se la carovana del Giro potesse in qualche modo “profanare” la sacralità dei luoghi. Il tabù fu superato nel 1990 ma avendo cura di farvi chiudere la meno invasiva delle tappe del Giro, la cronometro individuale. Trentanove chilometri da Gallarate al Santuario con Gianni Bugno in maglia rosa. Era il 5 giugno 1990, una folla fittissima merlettava l’intera salita ma neppure l’intercessione della Vergine indusse alla clemenza Giove pluvio che scatenò sugli atleti e sulla gente una pioggia implacabile. L’elicottero non riuscì ad alzarsi per garantire il collegamento televisivo. Fu una tappa invisibile. Gianni Bugno, il campione allora più amato dagli italiani, lo si vide solo all’ultimissimo momento sbucare dalle nuvole grigie, un lampo rosa in quel pomeriggio livido e opaco.
Da allora né il Giro d’Italia né quello della Svizzera sono più saliti sulla montagna varesina, è tempo di porvi rimedio visto che Varese, vera e propria Provincia coi pedali, vanta la bellezza di nove vittorie (1 Ganna, 5 Binda, 2 Basso,1 Garzelli) nella più importante corsa a tappe del mondo dopo il Tour de France.
You must be logged in to post a comment Login