Nel variegato panorama del degrado urbano un loro peso e una loro sciagurata importanza l’hanno assunta da qualche anno a questa parte anche le affissioni abusive. Il punto di osservazione privilegiato per rendersene conto è la propria vettura durante la sosta a un semaforo. Spesso sui pali di sostegno sono appiccicati annunci pubblicitari fai da te, volantini selvaggi, debitamente incollati con abbondante scotch, di telefonini, DVD, computer, motorini, scooter in vendita a prezzi scontati con il relativo cellulare di riferimento; e poi piantine fai da te per una festa di compleanno, una partita di basket, un party di nozze, di battesimo, di Cresima e quant’altro.
Un fenomeno in crescita un po’ ovunque che certo non migliora l’immagine dei centri urbani. A Milano l’Associazione Nazionale Antigraffiti ha addirittura promosso, con un vasto gruppo di volontari e le lungimiranti sponsorizzazioni di alcuni negozi e di alcuni alberghi, la ripulitura di Corso Buenos Aires, la più nota arteria commerciale della capitale lombarda. Una forma di civile autodifesa degli spazi urbani di fronte a vandalismi crescenti che hanno costi sociali pesantissimi, pensiamo per esempio alla ripulitura di treni, tram e metropolitane spesso imbrattate da manipoli di graffitari all’interno degli stessi depositi e addirittura in via preventiva, prima cioè che siano entrati in esercizio come è accaduto, sempre a Milano, qualche mese fa.
Si dirà che tra imbrattare un vagone del metrò o un monumento e appiccicare foglietti e sticker sul palo di sostegno di un semaforo c’è una bella differenza. Può essere vero in termini quantitativi ma non sul piano qualitativo. Sono proprio stati i sottili distinguo e le risibili giustificazioni socio artistiche di questi ultimi trent’anni a dar fiato al fenomeno, a impedire l’adozione di sanzioni severe e a fare quindi dell’Italia una delle mete privilegiate degli imbrattatori “professionisti” su scala europea. Comunque sia il contrasto al degrado urbano deve veder impegnati i Comuni ma anche le libere associazioni di cittadini, quelle di categoria, enti vari e privati cittadini, come sta accadendo a Milano, senza una risposta corale non si va da nessuna parte. Non ci si può tuttavia limitare a rimozioni episodiche, occasionali, di pronto soccorso, servirebbe un lavoro più in profondità capace di coinvolgere le scuole da un lato e i professionisti dell’immagine urbana (in primis gli architetti) per avviare piani concreti di “ricucitura”, come dice Renzo Piano, dei tessuti urbani. Qualche anno fa, sempre a Milano, alcuni architetti proposero un piano di “depalificazione” della città invasa da una quantità industriale di paletti e cartelli (stradali, taxi, orologi, musei, piscine, parcheggi…) che certo non ne migliorano l’aspetto. L’idea restò lettera morta ma ora che la sensibilità urbana è in crescita potrebbero essere utilmente ripresa anche a Varese che, in materia, certo non scherza.
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