Se la memoria non ci inganna, una delle cose che di più irritavano la Lega– la Lega degli inizi – era una certa frenesia celebrativa e inaugurativa che prendeva i democristiani, e i socialisti, specie in prossimità di appuntamenti elettorali, quasi una captatio benevolentiae, un memento per i cittadini che da lì a breve si sarebbero recati alle urne – Bossi, allora, diceva in “gabina” – per esprimere la loro opinione. Si sprecavano i tagli di nastri, le strette di mano, le visioni di sindaci sorridenti e con la fascia tricolore indosso dinanzi a nuove scuole, nuovi asili, biblioteche, strade. Celebrazioni ipocrite, sostenevano in buona sostanza i leghisti, volte soltanto a mantenere intatte le rendite di regime.
Più o meno questo ci è venuto in mente nel leggere, e nell’osservare, l’impegno espresso di recente con una firma ufficiale da parte del presidente della Giunta regionale Maroni, del sindaco Fontana e del commissario della “delenda” provincia di Varese Dario Galli, il quale ultimo – ops – dovrebbe essere in zona il candidato del Carroccio alle prossime elezioni Europee. I tre personaggi, serissimi, hanno sottoscritto un “protocollo di intesa” per la realizzazione del nuovo teatro di Varese che sorgerà, si dice ormai con certezza, nell’area dell’antica, anzi vecchia, caserma Garibaldi di piazza Repubblica. L’edificio non sarà abbattuto, ma restaurato. Il cantiere (non quello per puntellare le pareti della caserma che stanno crollando, già aperto, ma per le nuove opere) verrà avviato a partire dall’anno prossimo 2015.
L’intesa sta nell’esborso (ma ancora, in effetti, le tasche non sono state scucite) di ben 18 (diciotto) milioni di euro: 15 dalla Regione, 2 dal Comune, uno dalla Provincia. Trentasei miliardi delle vecchie lire. Una bella notizia, in verità, ma con la differenza rispetto alle manifestazioni democristiane e socialiste del passato che allora le inaugurazioni – benché in vista delle elezioni – avvenivano a cose fatte; talvolta anzi le strutture erano già funzionanti e si coglieva l’occasione per rammentarlo ai cittadini in modo ufficiale. Adesso, invece, siamo di fronte a una promessa che però si deve ancora concretare.
Nel nostro Paese siamo specialisti nelle promesse e negli accordi che poi cambiano all’improvviso: la storia, per esempio, ci ricorda il brusco revirement italiano, quando alla vigilia della prima guerra mondiale si passò con nonchalance dalla Triplice Alleanza (con l’Austria ela Germania) alla Triplice Intesa (con l’Inghilterra ela Francia). Senza andare lontani di un secolo e ricercare importanti eventi, scomodando gli avi, pensiamo – più modestamente da parte nostra – al molto recente inizio degli scavi per la bretella ferroviaria Stabio-Arcisate. La bretella doveva essere pronta per l’Expo del 2015. Campa cavallo.
Se poi si aggiunge che i dettami della Soprintendenza, per quanto riguarda il recupero della caserma e come è già stato bene descritto da questo giornale, aprono le porte a diverse e tra loro contrastanti interpretazioni, l’accordo firmato da Maroni-Fontana-Galli e il loro manifestato ottimismo lasciano gli astanti ancora più perplessi.
Sul teatro di Varese, tant’è che se ne parla, si potrebbero scrivere enciclopedie. In realtà e in sintesi la sua vicenda (quella di una possibile ricostruzione) non comincia il giorno successivo al 18 settembre nel 1953, quando fu perpetrato l’abbattimento, ma vent’anni prima, cioè negli anni Trenta, quelli di maggior consenso al fascismo. Le motivazioni erano diverse, cioè si voleva dare al teatro cittadino una sede più acconcia, dato che l’edificio non era più idoneo a ospitare in modo degno manifestazioni e rappresentazioni per un vasto pubblico. Tra le ragioni dell’abbattimento, alla fine, prevalsero anche le consuete motivazioni da portafoglio (la gestione era divenuta troppo costosa), le stesse che avevano portato nel medesimo periodo allo smantellamento di tram e funicolari; motivazioni cui i varesini e le loro amministrazioni sono sempre stati molto attenti. Così il teatro cadde e al suo posto sorsero “due magnifici condomìni”.
Ma il punto, ancora, non ci sembra questo di un fermento culturale presente in città volto a ripristinare il teatro, meglio: il sito dove accogliere manifestazioni teatrali. Forse questo sentimento aleggiava negli anni Ottanta, più o meno trent’anni fa, quando l’Amministrazione promosse anche un concorso per la realizzazione non solo di un teatro, ma di un “centro polivalente”. Concorso fatto, vinto, pagato. I progetti furono riposti e il cassetto chiuso. Oggi – ma è soltanto un’impressione – non è nemmeno così. Di teatro, in modo concreto, anche se non ancora progettuale, s’è sentito parlare nel momento in cui la ex-caserma Garibaldi, acquisita qualche anno fa, ha cominciato a venire giù pezzi, autodemolendosi in pratica. Sicché il problema vero, visto che bene o male si tratta di un edificio storico da preservare, è divenuto quello del suo recupero.
Se si tratta di “fare teatro”, i seguaci delle muse, compresa Melpomene, quella della tragedia, a Varese in questi anni hanno avuto modo di soddisfarsi in altre sedi. Così, a caso, citiamo il Politeama (e lo stesso Maroni lo sa bene, avendovi suonato più volte con i suoi del Distretto 51), il Nuovo, il Vela, il più ampio salone del MIV, l’Apollonio o UCC, infine, luogo teatrale provvisorio ma non tanto. Qui sono venuti i tanto amati Legnanesi e le compagnie di giro.
Anche altrove hanno fatto e fanno teatro vero – e sono tra i pochi e rari – gli allievi della professoressa Anna Bonomi e quelli della scuola di Paolo Franzato, che sopportano le cosiddette fatiche di Sisifo, caricandosi sulle spalle i massi delle imprese culturali. La città di Milano, poi, e altre cittadine con i loro teatri mai demoliti, ma che sopravvivono più o meno stancamente, hanno supplito alle rimanenti esigenze dei varesini, se queste esigenze ci sono.
Ecco perché certi proclami, certi dispendiosi e magari mascherati fervori non ci inducono – per adesso – all’applauso. Gli attori li conosciamo bene ma la rappresentazione è stata soltanto annunciata e il suo inizio è ancora di là da venire.
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