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Sport

ANCHE VINICIO NELLA SQUADRA DEL CIELO

ETTORE PAGANI - 18/04/2014

È tempo di ulivi. Non è affatto escluso che una piccola pianta abbia a germogliare sul luogo dell’ultimo riposo di Vinicio Nesti. Tutta per lui che per gli ulivi del suo podere in Toscana tanto aveva sudato. A guidare il trattore, a fare la raccolta per ricavarne quell’olio che, non fosse che per la fatica che gli era costato, per lui era già benedetto.

Fatica sui campi di gioco, sul lavoro a Varese e poi tanto per “riposare” proprio lì in Toscana. Era fatto per la fatica. Lottatore (e anche senza fare complimenti per gli avversari in campo); lottatore nel suo lavoro varesino. Lottatore nel puramente teorico riposo estivo in Toscana.

Gli ulivi, quindi, più simbolo di lavoro che di pace, perché lui sui campi di gioco di pace non ne concedeva a nessuno marcando da autentico mastino il suo avversario e passando in mezzo a qualsiasi difesa (se del caso con qualche gomitata propiziatoria) per andare a canestro.

Lui dietro in coppia indissolubile con quell’altro campione – diverso per caratteristiche ma altrettanto fenomeno – di Tonino Zorzi. In coppia in campo come “quelli dietro” (il termine play-maker e guardia non erano ancora nati) e poi in coppia anche nel lavoro.

Di ulivi si diceva. Che fossero la sua passione era certo. Che fossero il suo simbolo mica tanto. Le ossa, al riguardo, non le se era fatte solo nella Libertas Livorno (dove era approdato giovanissimo sotto la guida del fratello Giovanni già componente della Nazionale Azzurra) ma anche nella Pallacanestro Livorno, nell’Oder Bologna e nel Vela Viareggio.

A Varese giunse nel 1956 folgorato dal miraggio Ignis e contattato da Nino Magistri che faceva parte, allora, del consiglio della Pallacanestro Varese. Tra una gloria e l’altra raggiunse il massimo della soddisfazione con la vittoria – in giallo Ignis – del primo scudetto tricolore nel campionato 1960/1961.

Questa è storia nota come quella di una sua presenza anche come allenatore nella squadra varesina e il suo abbandono dell’Ignis nel 1964/65 con una proiezione verso la Robur. Meno nota la storia del suo – stavolta forzato – abbandono definitivo del basket per squalifica a vita conseguente all’avere “graziosamente “ accompagnato, quale allenatore della Ceti – dal campo allo spogliatoio trascinandolo per un orecchio –, un arbitro la cui direzione Vinicio non aveva, evidentemente, gradito. Carattere sempre carattere, dalla nascita.

Quasi un contrasto con la sua morte in sordina addormentandosi per non disturbare nessuno e per raggiungere i compagni che l’avevano preceduto. Un riposo che ha qualcosa che lo fa sembrare strano. Ma a sfatarlo rimane il ricordo del suo passato più gloriosamente rumoroso che mai.

 

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