“La fragile bellezza” mostra aperta alla Pinacoteca Züst di Rancate è l’esposizione di pezzi tutti appartenenti ad un medesimo collezionista che dopo avere raccolto e custodito gelosamente le opere di cui era innamorato, ha deciso di metterle a disposizione di studiosi e pubblico, permettendo così a tutti di poter ammirare e godere della loro bellezza.
Sono ottanta ceramiche d’arte, ‘fragile bellezze’ appunto, che raccontano un viaggio immaginario all’interno dell’arte italiana dalla fine dell’ottocento agli anni Cinquanta del Novecento.
Si spazia tra i lavori di artisti della levatura di Galileo Chini, Giò Ponti, Guido Andloviz, Arturo Martini Fausto Melotti, Angelo Biancini, Antonia Campi, Lucio Fontana; accanto ai pezzi unici, vere sculture di fragile porcellana, sono collocati oggetti di produzione seriale della Manifattura Lenci e della Società Ceramica di Laveno, destinati a una più larga diffusione di mercato, perché prodotti industrialmente a partire dalla fine del XX secolo, che sono comunque tutte opera di alta qualità. (prestigiose firme di scultori o pittori e segnano una svolta nel mondo della critica: infatti le arti decorative non erano stimate come la pittura, raramente ritenute parte della produzione artistica ma ora sono ritenute arti applicate all’industria) che inizia con le forme sinuose dell’art noveau e termina con le invenzioni informali di Antonia Campi.
La mostra si impone come luogo di stupore ; allestita nella Sala delle Capriate in una ambientazione di grande suggestione, segue un percorso cronologico che inizia con l’età del Liberty, movimento legato all’Art Nouveau, che fa del linguaggio naturalistico floreale lo strumento espressivo d’elezione. La prima sezione è dedicata ad artisti attivi tra il 1880 e il 1910 che fecero proprio il linguaggio decorativo di fine ottocento. Galileo Chini, artista di levatura europea che vince il primo premio all’esposizione del Liberty a Torino nel 1902 e che applica le scoperte della pittura dei pre-raffaelliti alle forme di Botticelli, è presente con vasi di eccellente fattura in cui i motivi floreali si sposano con la forma e i decori della tradizione rinascimentale toscana: pavoni e salamandre, rettili e foglie d’acanto, putti e ghirlande, volute e intrecci, forme fitomorfe; colmano di stupore una anfora con anse in forma di serpenti e un vaso con occhi di penna di pavone; accanto al vaso coi fiori di loto è posto il vaso in terraglia forte formata a colaggio e smaltata in verde di Giorgio Spertini: la montatura sinuosa in metallo dorato è a colpo di frusta, e rende l’oggetto di una eleganza raffinata che stupisce.
Nel 1910 con l’uso della tecnica al sale, il liberty pian piano si schematizza; dopo la fine del primo conflitto mondiale, la ceramica imbocca decisa la via dell’art decò: assume atteggiamenti antinaturalistici in Carezze di Mazzolani, recupera la tecnica dei buccheri etruschi coi vasi di Cambellotti, mostra toni eleganti ironici preziosi nel Pierrot e Andalusa di Nonni….
Un spazio molto ampio è dedicato al massimo esponente del Decò, Giò Ponti che vince il primo premio all’Esposizione di Parigi del 1925. Stupiscono i grandi crateri decorati con scene venatorie o figure femminili di sapore rinascimentale, arricchiti da coperchi scolpiti. Stupiscono i lavori di Guido Andloviz : la Coppa con colonna che propone decorazioni finemente stilizzate e la sequela dei vasi Monza che differiscono nella resa cromatica e nel decoro di sapore nipponico.
Negli anni Trenta la ceramica inizia ad utilizzare l’aerografo e la smaltatura monocroma meccanica: è una svolta epocale, che consente la produzione di oggetti realizzati a colaggio con snellimento della produzione. L’oggetto seriale, raffinato, elegante può essere fruibile da un numero elevato di acquirenti: accanto alle società ceramiche storiche, aprono ditte nuove come le Ceramiche Lenci cui è dedicata una intera sezione. Le ceramiche Lenci sono realizzate da pittori e scultori torinesi del tempo, tra cui Elena Konig, Mario Sturani, Gigi Chessa: vasi, statuette raffiguranti figure femminili, animali, scene di vita quotidiana proposte nel linguaggio naturalistico delicato accattivante dell’art decò, forme plastiche adatte ad arredare i salotti borghesi in modo moderno con veri oggetti ornamentali di classe.
Negli stessi anni trenta alcune opere in ceramica perdono la funzione di elemento di arredo, di soprammobile per trasformarsi in sculture d’arte; passaggio già anticipato dalla produzione degli artisti legati alle tematiche futuriste caratterizzate dai decori fiammati del vaso Streghe o del boccale acentrico di Tullio d’Albisola, dalle forme ricreate secondo le leggi della dinamica come per la testa Velocità di Cagli, ai pannelli celebrativi del regime di Cagli e Baldelli o dalle prove degli aero-futuristi Fillia e Diugheroff che segnano la sezione dell’esposizione legata al momento Futurista.
Ancora legati all’espressione naturalistica le forme flessuose sinuose eleganti che Martini usa per creare un elegantissimo Airone mentre Cambellotti scolpisce un Gallo giocato su una resa plastica priva di qualsiasi connotazione pittorica. Lo stile decò viene del tutto superato dallo stile Novecento che realizza opere monumentali in cui stupiscono la policromia, i rilievi e i contrasti di colore, la forza vigoria compositiva.
Il percorso termina con la produzione postbellica; negli anni Cinquanta gli artisti abbandonano la figuratività dello stile novecentista, ritenuto espressione della cultura legata al periodo storico-politico precedente e creano nuove forme e decori in segno di rottura con le espressioni artistiche precedenti. Le ceramiche non hanno più disegni sinuosi delicati morbidi, né volumi vigorosi: i disegni sono decisi la materia ha forme taglienti astratte informali. Melotti Fontana Campi usano infatti un linguaggio anti figurativo, Giò Ponti crea figurine in bisquit con figurazioni oniriche si spore saviniano ed elabora temi classici in chiave metafisica; Antonia Campi realizza il celeberrimo portaombrelli spaziale C 33, mentre Melotti punta sull’imperfezione cromatica del Vaso e Fontana crea nuove dimensioni nelle terrecotte decorate in rilievo.
Una simpatica sezione della mostra presenta diciannove teiere, collocabili tra il 1919 e il 1951, realizzati da diverse manifatture: descrivono il percorso dalle forme tradizionali, che riprendono le forme delle argenterie e delle porcellane settecentesche alle eleganti prove decò, alle forme futuriste sino a giungere all’ informale: la teiera del servizio Gallina di Antonia Campi.
Completa la mostra l’accurato catalogo di SilvanaEditoriale con introduzione e schede di Valerio Terraroli e Stefania Cretella
La fragile bellezza Pinacoteca cantonale Giovanni Züst – Rancate (Mendrisio) – Svizzera fino al 17 agosto 2014
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