La solidarietà cerca e trova strade sempre nuove per rispondere ai bisogni di fatica, povertà ed emergenza. Se da un lato le domande di aiuto ed intervento hanno volti, storie di vita, condizione sociale in continuo cambiamento, dall’altro le risposte scoprono percorsi mirati, in grado di non disperdere il desiderio e la capacità di incontrare le necessità reali, provando a colmarle.
Le mense cittadine quotidiane della Brunella e di via Luini rappresentano la punta dell’iceberg più evidente di tante urgenze, ormai indistintamente distribuite in termini anagrafici e di nazionalità. Vi ricorrono complessivamente oltre duecento persone, alle cui spalle in molti casi vi sono intere famiglie o condizioni di povertà inattesa, a seguito di separazioni, perdita del posto di lavoro o impossibilità a reggere il costo della vita con pensioni ridotte a poche centinaia di euro mensili. A loro volta le parrocchie continuano ad essere il primo punto di riferimento per molti cittadini in condizioni di precarietà economica e sociale: bollette da pagare, pacchi alimentari settimanali da distribuire, medicinali da banco o specifici, vestiario da recuperare.
Sono solo alcune delle situazioni emergenziali cui da tempo il mondo del volontariato risponde in modo costante e puntuale. I gruppi Caritas e della San Vincenzo, diffusi sul territorio, promuovono attività costanti di attenzione, ascolto, individuazione dei bisogni, ricerca di risposte. È questo il silenzioso fiume della solidarietà che fa di Varese una città lontana dagli stereotipi mediatici con i quali viene dipinta. Una città che non ostenta ma vive nel concreto la propria volontà di includere, condividere, sostenere, aiutare e stabilire duraturi rapporti di amicizia, nati magari proprio in concomitanza con situazioni di estrema difficoltà. Ed è così che tanti cittadini scelgono di offrire concreto contributo, riferendosi alle associazioni e alle realtà che sono in prima linea nel tessuto solidale varesino. E lo fanno, come dicevamo, individuando opportunità nuove che superano il tradizionale, per quanto sempre utilissimo, modello “caritatevole” del dare quanto avanza ed è “di più”, fornendo capi d’abbigliamento smessi oppure offrendo un sostegno monetario nelle cassette di raccolta fondi disponibili nei luoghi di culto.
Ad esempio, il giovane imprenditore di una azienda avicola del territorio, una persona attenta e generosa, ha dato l’incarico di rifornire la San Vincenzo di un rione cittadino con un quantitativo settimanale di uova fresche per le famiglie bisognose. Un gesto semplice, nascosto (tanto che resta assolutamente nell’anonimato chi ha promosso questa iniziativa) ma finalizzato a garantire una alimentazione sana e sostanziosa a chi è in difficoltà. Qualcuno invece, in accordo con alcuni esercenti di fiducia, ha aperto, a favore di persone bisognose individuate, un conto presso negozi di alimentari, in modo da consentire l’acquisto di generi di prima necessità. Molti commercianti della città e della provincia stanno a loro volta ampliando la generosità del non disperdere ciò che resta invenduto, scegliendo di garantire un contributo costante settimanale o addirittura quotidiano sul quale mense o associazioni di assistenza e supporto possano fare conto con un adeguato margine di certezza. Si sta ampliando anche il numero di iniziative di raccolta fondi, attraverso l’organizzazione di momenti di festa o di ritrovo, che diventano occasione per non dimenticare chi è in situazione di bisogno.
Attivo è inoltre il “tam tam” di appelli e proposte, temporanee o legate a situazioni e momenti specifici dell’anno, lanciati attraverso i media e i social network. Basta un post su Facebook per scatenare una entusiastica catena di solidarietà. Resta invece ancora molto difficile da colmare il bisogno di assicurare un tetto a chi viene sfrattato o non è in grado di coprire costi di locazione che diventano inaccessibili: la domanda di aprire le porte delle migliaia di appartamenti sfitti è quella che maggiormente fatica a trovare risposta. Molte sono in città e nel territorio le situazioni di persone o famiglie che potrebbero, con affitti meno angoscianti, non essere costrette a vivere in cinque in due piccoli locali o in condizioni abitative lontane dalla dignità cui ciascuno ha diritto.
Le abitazioni a canone sociale di proprietà comunale non sono assolutamente in grado di rispondere al numero crescente a dismisura di cittadini che, a seguito di sfratti o per indigenza, vengono collocati nelle impressionanti liste di attesa sempre più lunghe. Quello che serve quindi è individuare forme nuove di compartecipazione tra pubblico e privato: molte sono le case o gli appartamenti che restano disabitati per la richiesta di affitti elevati rispetto alla esiguità dei redditi di molte famiglie.
Non è impensabile però ipotizzare che possa essere istituito un fondo di solidarietà cittadino, cui ciascuno possa liberamente contribuire e che diventi una sorta di “banca collettiva” alla quale l’Amministrazione possa accedere per offrire garanzie ai proprietari che mettano a disposizione case e appartamenti in buono stato e a condizioni di affitto moderate ed accettabili. Il livello di solidarietà che i cittadini sanno esprimere in forma individuale può infatti trovare nelle istituzioni un più ampio livello di coordinamento, solido, condiviso e che certamente non resterebbe inascoltato.
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