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Divagando

QUANDO BERLINGUER FU TRA DI NOI

AMBROGIO VAGHI - 18/04/2014

Enrico Berlinguer al XIII Congresso del PCI a Milano (1972)

A trent’anni dalla morte di Enrico Berlinguer, segretario dell’allora P.C.I., avvenuta dopo il tragico collasso al termine di un comizio elettorale in una affollata piazza di Padova, i ricordi per alcuni sono ancora vivi, per la grande massa sono sfumati, e infine del tutto nulli per la generazione più giovane. Lo confermano le immagini del recente film di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer” e particolarmente le risposte strampalate che molti giovani hanno dato alla domanda “Chi era Berlinguer?”.

Una dissolvenza di ricordi e una ignoranza quasi assoluta di cui farne colpa pesante soprattutto ai successori di quell’uomo politico. Eppure si era trattato di un dirigente di tratto modesto, di aspetto fragile, che aveva interpretato al meglio, con grandi successi elettorali, il desiderio del popolo comunista di rappresentare un’altra Italia moralmente e politicamente diversa. Che aveva fatto lo strappo da Mosca anticipando la fine del regime dei Soviet, aveva teorizzato l'”Eurocomunismo” ed il “compromesso storico” tra partiti che si richiamavano ai valori del riformismo socialista e del solidarismo cattolico. Aveva predicato “l’austerità” dei comportamenti, letta polemicamente come peggioramento del livello di vita quando invece intendeva essere giusta previsione di un modello di sviluppo più equo e sostenibile. Sapeva parlare ai cuori e alle menti delle persone e l’immenso tributo di dolorosa partecipazione di popolo di ogni ceto e convinzione ai suoi funerali ne furono la conferma.

Berlinguer era stato anche a Varese, poco più di tre anni prima della morte, nel febbraio del 1981, per un memorabile comizio tenuto al Palazzetto dello Sport, gremito all’inverosimile. La folla assiepata sugli spalti ed in ogni spazio aveva salutato il suo apparire sul palco con un boato interminabile di applausi.

I comunisti varesini avevano finalmente coronato, dopo un paio d’anni di tentativi, il loro sogno di avere il segretario del partito nella loro città. Dell’evento ne parla con precisi particolari l’oncologo professor Luigi Mombelli, allora segretario della federazione provinciale, nel libro “A zonzo nella memoria”, una raccolta di testimonianze di dirigenti del PCI.

L’occasione fu la presenza di Berlinguer a Torino per un convegno di due giorni sul fenomeno FIAT. I lavori si tenevano al Palazzetto dello Sport di quella città e Mombelli con altri due giovani dirigenti del PCI varesino vi giunse quando Berlinguer stava pronunciando le conclusioni.

Sembrava più affaticato del solito, con i lineamenti molto tirati. Il suo segretario Antonio Tatò rivelò più tardi che nella serata del giorno prima Berlinguer era stato male, colpito da una colica violenta. Ci teneva però a concludere personalmente il complesso dibattito. Si imbottì di antispastici e, attutiti i dolori, all’alba si mise al lavoro sull’intervento che avrebbe pronunciato al mattino. Così era l’uomo ed il suo senso di responsabilità malgrado i dolori ed una notte insonne.

Nello stesso albergo torinese dove alloggiava, venne consumato il pranzo. Berlinguer volle allo stesso tavolo la delegazione varesina subito colpita da quella sua aria mite, un po’ schiva, tratti questi quasi mai presenti nei “capi”, cioè negli uomini abituati al comando. Si avvertiva che quel corpo minuto era animato da una grande forza interiore sostenuta da una grande carica ideale.

Luigi Mombelli pensava, con un moto di apprensione, come avrebbe potuto passare quelle due ore in macchina, per il viaggio verso Varese, solo col segretario del suo partito sui sedili posteriori della vettura blindata.

Ma Berlinguer cominciò a parlare con tono pacato mettendo l’interlocutore a suo agio nello sviluppare i propri punti di vista. Nell’intervento che doveva svolgere a Varese Berlinguer intendeva collegarsi anche alla realtà provinciale.

Narra Mombelli nella sua testimonianza scritta qualche anno dopo, nel 1989.

“Faceva domande precise sui vari temi, dall’economia al turismo, voleva conoscere le strutture culturali e politiche. Ascoltava assorto mentre io parlavo e solo due volte mi interruppe facendo considerazioni ad alta voce. La prima per manifestare la più viva preoccupazione per la corruzione che andava dilagando tra i partiti e che ormai dalla D.C. si era diffusa e aveva contaminato anche il P.S.I. Voleva sapere al proposito com’era la situazione in provincia di Varese e si augurava che la grande maggioranza degli iscritti al P.S.I. avesse contrastato il passo al diffondersi del clientelismo e dell’affarismo all’interno di quel partito. La seconda considerazione che fece fu quella sulla droga. Era convinto che il problema droga avrebbe assunto dimensioni devastanti e che ben altro era il tipo di lotta che si doveva ingaggiare contro di essa. Il Governo non faceva abbastanza e l’unica possibilità di far maturare un impegno più efficace in questo campo risiedeva in una azione di massa del nostro partito, insieme con i gruppi e le forze sociali che già erano schierate su questo fronte. Eravamo intanto arrivati a Varese e ci fermammo davanti al City Hotel con qualche numero di troppo degli agenti di polizia che, bloccata la strada con le macchine per traverso, balzarono a terra con i mitra spianati”.

Il terrorismo era ancora un pericolo. Per questo il giorno successivo Berlinguer fu dissuaso dal fare quattro passi in città. Fu convinto a scendere sul lungolago dove il lavoro del corpo di guardia sarebbe stato più agevole. Dalla Schiranna, coi compagni, risalì a piedi fino a Bobbiate e poi in macchina giunse in Federazione per incontrare i lavoratori della Montedison di Castellanza in lotta contro la chiusura. Più tardi la breve visita varesina si concludeva con l’imponente entusiastico comizio al Palazzetto.

Nell’opera di Enrico Berlinguer è rimasto qualcosa che parla soltanto a coloro che lo conobbero? È sperabile che qualcosa di quella opera stia parlando anche a tanti altri. A coloro che ritengono sia arrivato il momento di elaborare un pensiero politico capace di misurarsi con la devastazione sociale e culturale prodotta da un sistema che ha inondato il mondo di debiti e di scandalose ricchezze impoverendo il lavoro e la produzione.

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