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Attualità

25 APRILE, UNA MEMORIA CONDIVISA

CAMILLO MASSIMO FIORI - 18/04/2014

Brescia, 25 aprile 1945

Il 25 Aprile è la festa della libertà: ricorda la lotta degli italiani per realizzare la democrazia, la repubblica, la costituzione. Gli avvenimenti accaduti tra il Settembre 1943 e l’Aprile 1945 sono lontani nel tempo e costituiscono una storia che ancora divide gli italiani e lascia indifferenti i giovani.

Qualcosa di simile accadde anche dopo il Risorgimento e ciò spiega la crisi che ancora sussiste nella nostra identità nazionale. Tuttavia la Resistenza è stata anche l’inizio di un cammino comune, di una nuova esperienza a cui tutti gli italiani hanno partecipato e che è doveroso ricordare per spiegare il presente.

La Resistenza non è solo la guerra partigiana, non è la vittoria di una fazione: è un fenomeno più complesso attraverso cui il popolo italiano ha preso coscienza che il futuro di ciascuno è legato a un comune destino. Per secoli gli italiani avevano solo obbedito al potere: in un momento tra i più tragici della nostra storia dovettero fare delle scelte personali con il rischio di sbagliare ma con un profondo senso di responsabilità.

Se attraverso la Resistenza è stato possibile realizzare la democrazia, la repubblica e la costituzione, vuol dire che c’erano in essa i caratteri originari della riconciliazione e della convivenza civile.

Ma che cosa è veramente successo? È stata un’eroica avventura oppure una pagina tragica da dimenticare? Prima di giudicare, invece di dimenticare, occorre conoscere e capire.

Dopo la “grande guerra” del 1915-1918, un conflitto totale che coinvolse l’intera nazione, i giovani sopravvissuti al massacro selettivo reclamarono il diritto di partecipare alla vita politica per ottenere libertà, benessere e giustizia sociale. Le classi dominanti del tempo non capirono tale aspirazione e il malessere sociale che ne conseguì sfociò in un esperimento politico nuovo: il fascismo.

Il fascismo è stato un fenomeno moderno di concezione totalitaria della politica: la vita dei singoli era finalizzata alla nazione, considerata un’entità sacra, ma il nazionalismo portava inevitabilmente al conflitto tra gli Stati. Di fatto, la seconda guerra mondiale fu la continuazione della prima che non aveva conseguito una pace giusta.

Gli italiani non compresero subito la vera natura del fascismo che aveva realizzato anche alcune cose positive e modernizzato il Paese: prevalse il conformismo e il popolo accettò senza entusiasmo e senza ostilità l’entrata in guerra a fianco della Germania nazista. Il fascismo era un movimento nazionalista ma il nazismo era assai peggio: un movimento totalitario, razzista e anticristiano.

L’alleanza fu fatale: quella che all’inizio sembrava una guerra-lampo si trasformò in un conflitto terrificante con decine di milioni di morti. L’Italia era impreparata alla guerra e i soldati furono mandati a combattere, in condizioni spaventose, nei deserti africani, nelle steppe russe, sulle montagne dei Balcani; le città furono massicciamente bombardate; le popolazioni costrette a fuggire; ritornò la fame e la carestia come nei secoli oscuri del Medio Evo. Dietro la retorica del regime vi erano impreparazione e corruzione; gli italiani scoprirono che il fascismo non era solo forza bruta ma anche inganno e menzogna.

Il fascismo, con l’esito disastroso della guerra e la distruzione del Paese, fu messo in crisi dagli stessi collaboratori di Mussolini; il nuovo governo Badoglio fu costretto a chiedere la resa senza condizioni; invece di fronteggiare i tedeschi che avevano occupato militarmente il Paese, la monarchia, i ministri e i comandi militari fuggirono al Sud dove erano sbarcati gli anglo-americani.

L’8 Settembre 1943 l’Italia precipitò nel baratro; l’esercito si dissolse dopo alcuni significativi episodi di Resistenza; i militari furono in gran parte catturati e deportati in Germania; le famiglie italiane, in uno slancio di incredibile solidarietà, offrirono pane e vestiti ai soldati sbandati, nascosero i prigionieri alleati, aiutarono i perseguitati politici e gli ebrei correndo rischi estremi; i reduci dal fronte, scampati alla cattura dei tedeschi, si rifugiarono in montagna. I giovani si trovarono costretti a scegliere, da un giorno all’altro, se affiancarsi ai tedeschi o aderire ai nuclei partigiani che si erano costituiti spontaneamente.

La Resistenza nacque sul finire del 1943 quando l’esito della guerra non era affatto scontato: il Reich poteva ancora vincere e l’Italia per sganciarsi dall’alleanza con i tedeschi non poteva che pagare un prezzo altissimo. La devastazione morale e materiale del Paese, conseguenza della dittatura e della guerra, fu enorme tanto da suggerire allo scrittore Salvatore Satta l’immagine disperata della “morte della Patria”.

I giovani che salirono in montagna e la maggioranza degli italiani non avevano motivazioni ideologiche: erano stati formati nel regime fascista ma ora prendevano consapevolezza che le disgrazie dell’Italia dipendevano dalla mancanza di libertà, dalla impossibilità di scegliere i propri governanti.

La Resistenza segnò una discontinuità unica, una profonda frattura nella storia d’Italia, innescando un processo nuovo e sorprendente di acculturazione. Anche la Resistenza non sfuggì al condizionamento di una guerra brutale condotta con una violenza disumanante: non si poteva fare diversamente perché le regole della guerra totale furono imposte dai nazisti. La costituzione della Repubblica Sociale al Nord e la decisione di ricostruire un esercito fascista radicalizzò lo scontro: così la lotta di liberazione divenne anche una lotta fratricida e una guerra civile; solo la Chiesa riuscì con la sua azione a preservare spazi di umanità. L’azione armata fu un fatto ineludibile anche se ad essa non partecipò gran parte della popolazione, la quale però non fu affatto indifferente e moralmente opaca perché l’aiuto generosamente dato ai partigiani, ai perseguitati politici e agli ebrei comportava rischi mortali.

Nella Resistenza vi fu conflitto non solo tra fascisti e antifascisti ma anche tra quanti la intendevano come liberazione nazionale e altri che la volevano come premessa di una rivoluzione sociale. Tutte le parti in causa hanno diritto al riconoscimento di spazi di buona fede e di dignità storica ma, come disse Italo Calvino, “siamo tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”. Il carattere della Resistenza non dipende infatti dalle intenzioni delle varie componenti ma dai suoi esiti oggettivi: la conquista della libertà e della democrazia per tutti. Essa valse a riscattare l’Italia dal suo ambiguo passato e a renderla di nuovo rispettata tra le nazioni democratiche.

 

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