Mi stupisce avere sentito che ci sia chi abbia avuto da ridire perché, recependo la direttiva europea 2011/93 sulla lotta all’abuso dei minori, viene richiesta obbligatoriamente la documentazione del certificato penale per chi lavora con bambini e ragazzi di età inferiore al diciottesimo anno. Certamente le modalità repentine di assolvimento della norma (il Dlgs 39/14 è entrato in vigore dal 6 aprile u.s.) e le scarse informazioni circolate a riguardo possono anche avere messo in secondo piano la positività dell’intervento. Che è invece, a mio avviso, a tutti gli effetti più che legittimo. Si tratta infatti di evitare l’impiego – in situazioni lavorative, educative o della formazione più in generale e che prevedano il rapporto con bambini e ragazzi fino alla maggiore età – di persone che abbiano già avuto problemi con la giustizia in merito ai reati di prostituzione minorile, pornografia minorile, pornografia virtuale, turismo sessuale, adescamento dei minorenni.
Gli insegnanti e gli operatori di altri settori pubblici presentano normalmente la documentazione del casellario giudiziario all’atto della assunzione a tempo indeterminato. Non è sconvolgente che questa regola si estenda a tutti gli ambiti e le situazioni, in cui ci sia rapporto coi minori diretto e costante. Caso mai è una garanzia in più a tanti livelli: per le famiglie, per tutti coloro che operano a favore dei più giovani e per la collettività in senso lato.
I troppi casi di pedofilia e di violenza sui cittadini più piccoli hanno richiesto inevitabilmente interventi che siano in grado di andare oltre la semplice, sebbene necessaria e insostituibile, diffusione della cultura del rispetto. Quante volte abbiamo sentito, nei casi eclatanti in cui certe verità sono state portate a galla da indagini a seguito di denunce, che nessuno avrebbe mai immaginato l’accaduto perché l’impressione offerta dal molestatore nella sua routine di vita era quella “di una persona perbene, senza problemi, assolutamente affidabile”. L’ambito è troppo delicato, i bambini e i ragazzi troppo indifesi perché ci si indigni di fronte ad una forma di prevenzione: se una persona ha dei precedenti per molestie a danno di minori è assolutamente fuori da ogni logica che sia impiegata in ambito scolastico, formativo, educativo. Può essere indirizzata a ricoprire altre mansioni. Che non significa non credere nel valore del recupero di chi abbia commesso errori più o meno gravi, né rifuggire dalla logica dell’accoglienza. Ma gli ambiti lavorativi di carattere assistenziale e relazionale con bambini e ragazzi richiedono assolute garanzie e nessuno può sentirsi offeso dalla recente norma. Che, anzi, chiama invece a collaborare alla necessità di trasparenza, offrendo un valore aggiunto alla tutela sia dei più piccoli e delle loro famiglie, sia delle agenzie formative, che evitano di mettersi, involontariamente, “il lupo in casa”. Quando accadono situazioni di molestia, abuso, violenza dentro ambiti destinati a custodire e proteggere i bambini è inevitabile chiedersi come non sia stato possibile prevenire. Ed è altrettanto inevitabile che il giudizio non si fermi al caso isolato ma si estenda al sistema, definendolo incapace di mettere in atto tutte le necessarie forme di precauzione e impedimento di azioni mai accettabili né giustificabili. Le norme, le regole sono una risorsa. Se le sappiamo guardare con lo sguardo rivolto al valore collettivo che assumono e al bene comune che costruiscono.
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