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Attualità

LA DIFESA MILITARE

VINCENZO CIARAFFA - 11/04/2014

Lo Stockholm International Peace Reasearch Institute (SIPRI), ha stimato che nel 2012 il nostro Paese ha speso 26,46 miliardi di euro per la difesa, come dire l’1,7% del suo PIL, guadagnandosi così il decimo posto nella classifica mondiale degli spenditori militari. Se i due dati li mettiamo in relazione col fatto che nel nostro Paese per le politiche del lavoro e di protezione sociale si spende meno che per la Difesa e che perfino la Spagna e il Portogallo investono più di noi nel settore civile, viene da masticare amaro.

Qualcuno ha anche stimato che soltanto con i quindici miliardi in predicato per l’acquisto dei cento trentuno cacciabombardieri F-35 JSF dagli USA si sarebbero potuti costruire duemila asili nido, adeguare alle ultime norme sulla sicurezza le diecimila scuole pubbliche esistenti in Italia e garantire un’indennità di disoccupazione a chi perda il posto di lavoro. Ebbene, soltanto una ventina di anni fa l’acquisto di una flotta aerea militare avrebbe visto scendere in piazza pacifisti, ambientalisti e la sinistra a ranghi compatti mentre adesso nessuno, e neppure nessun partito, è andato oltre una flebile protesta verbale, neanche Grillo e SEL.

D’altronde nessuno fiatò neppure quando, ormai in carica soltanto per il disbrigo dell’ordinaria amministrazione, il premier Mario Monti, durante un incontro col Segretario Generale della NATO, Rasmussen, assicurò che il nostro Paese avrebbe continuato a fornire risorse, mezzi e uomini per l’addestramento delle forze di sicurezza afghane, anche quando ce ne saremmo tornati a casa, cioè quest’anno. Forse. In realtà, più che la NATO, Monti volle rassicurare gli USA circa le nostre intenzioni di voler restare in Afghanistan per almeno altri due anni, senza trovare il coraggio di dire a chiare lettere che l’Italia non è più in grado di spendere tre milioni di euro il giorno e cinquantatre vite umane in pochi anni per continuare a puntellare il corrotto governo di Hamid Karzai o chi lo sostituirà dopo le elezioni del 5 aprile scorso. E se proprio qualcuno ha fiatato, l’ha fatto per lanciare qualche gridolino guerriero.

Ve lo ricordate Angelino Alfano che qualche anno fa voleva dare il premio Nobel a Lampedusa soltanto perché quella disgraziata isoletta stava affogando sotto il peso di una recalcitrante valanga d’immigrati? Nei giorni scorsi, senza neppure porsi il problema della coerenza, lo stesso impavido Angelino ha affermato che sono in arrivo dall’Africa seicentomila immigrati e che i nostri confini vanno difesi: alleluia! In altre parole, egli è passato dal Nobel per la pace all’impellente necessità della difesa militare di coste e acque territoriali. È stato un caso che ciò sia avvenuto dopo la visita del presidente USA in Italia, cioè del piazzista degli F-35 JSF? Beh, se non è una coincidenza, è sicuramente un fatto piuttosto indecente.

E quante altre cose ritenute indecenti in tempi ordinari diverranno, invece, “normali” in tempi pericolosamente straordinari come quelli che stiamo vivendo? Che cosa sta succedendo alle nostre vite? Probabilmente, sta accadendo quel che ha scritto la giornalista Naomi Klein nel bel libro “Shock Economy” e cioè che «… il metodo privilegiato per imporre gli obiettivi delle grandi imprese, adesso, era quello di usare i momenti di trauma collettivo per dedicarsi a misure radicali di ingegneria sociale ed economica». Pur tuttavia, siamo persuasi che un’analisi delle spese militari vada contestualizzata, cioè messa in relazione con le alleanze militari di cui facciamo parte, con la politica estera (ammesso che l’Italia abbia politica estera…), col momento storico e con la “temperatura dei rapporti” tra quei Paesi sui quali s’incardina l’equilibrio mondiale e che, al momento, sono ancora gli Stati Uniti e la Russia. La difesa del nostro Paese, però, non può essere pensata in chiave ideologica o populista o, comunque, discussa da persone che non sanno neppure di che cosa stiano parlando.

Il 25 agosto del 2011, ad esempio, il Segretario Generale della CGIL Susanna Camusso ritenne di poter dire la sua sull’argomento con delle affermazioni che la dicono lunga sul livello di competenza della nostra classe dirigente: «Penso che andrebbero ridotte le spese militari. Quando parlo di riduzione delle spese militari, non mi riferisco alle spese di Polizia e alla sicurezza, ma alle spese militari». Senza rendersi conto, poverina, che la «sicurezza» è esattamente ciò che produce ognuna delle tre Forze Armate!

Ma ritorniamo all’acquisto dei cacciabombardieri F-35 JSF per far capire al lettore come funziona un’alleanza militare tipo, la NATO di cui facciamo parte sin dal 1949 e che, ovviamente, richiede la capacità di poter prontamente impiegare uomini, mezzi e dispositivi d’arma prelevandoli dagli eserciti dei Paesi membri. Ecco allora che, con cadenza periodica, il Segretario Generale della NATO chiede a tutti gli alleati, la loro disponibilità/capacità a fornire quel che occorre per mantenere intatto il potere di deterrenza dell’alleanza. È in questa fase che ogni Paese decide (e promette…) quali armi, quanti uomini e quanti mezzi schiererà nel caso di un’emergenza militare. Adesso, nonostante i tanti distinguo tattici e precisazioni nel governo, crediamo sia molto più chiaro il perché il nostro Paese dovrà acquistare i cacciabombardieri prodotti dalla Lockheed Martin americana o, in alternativa, uscire dalla NATO per insolvenza degli obblighi militari. E questa è una cosa che non possiamo permetterci, siamo condannati a mantenere in piedi un dispositivo militare di “dissuasione minima” e non perché siamo guerrafondai (la pacifica Svizzera è meglio armata di noi) ma perché abbiamo oltre ottomila chilometri di coste da difendere e che sono di fronte a una delle zone più turbolente del mondo: il saliente nordafricano. Ma le nostre preoccupazioni dovrebbero rivolgersi anche a est dell’Europa, dove la Russia ha ripreso la sua politica egemonica nell’area.

Dei 98 miliardi che i gestori del gioco d’azzardo dovevano al fisco ne verseranno, in realtà, soltanto 2,5 grazie a una sentenza della Corte dei Conti e a una sanatoria del governo Letta. Com’è che nessuno si è scandalizzato per ciò? Ma allora ha ragione Noemi Klein quando scrive che i gruppi di potere si sono organizzati per approfittare della nostra angoscia esistenziale e farci, così, accettare anche le operazioni più indecenti come fosse una liberazione! Non regge, dunque, il finto accoramento per le sorti del Paese dei tre governi che si sono succeduti dal 2011 a oggi e che hanno fatto soltanto gli interessi di banche e gruppi di potere come la lobby del gioco d’azzardo. Regge ancora meno la pretesa populista che smantellando la difesa si farà del bene al Paese e non regge proprio per niente la sciocchezza che dei cacciabombardieri F-35 JSF possiamo fare a meno, se si pensa che furono i bombardamenti della NATO del 1999 a indurre quella mammoletta della buonanima di Slobodan Milosevic a più miti consigli e che furono ancora i bombardamenti aerei della Francia a decretare la caduta di Gheddafi, senza schieramento di truppe terrestri e senza morti.

Il problema, pertanto, non sono gli F-35 JSF e neppure i 26,46 miliardi di euro occorrenti alla difesa militare del Paese ma la nostra incapacità di gestire tali risorse. Rispetto ad appena qualche anno fa, la situazione economica nazionale si è fatta, a volere essere ottimisti, preoccupante, perciò bisogna che qualcuno decida se dobbiamo continuare a spendere tre milioni il giorno per le operazioni fuori area o provvedere a un minimo di ammodernamento del nostro dispositivo di difesa di cui fanno parte anche i contestati F-35. Un Paese che vuole essere libero e democratico deve vivere di trattati e di alleanze militari che impongono qualche sacrificio e irretire l’opinione pubblica con l’illusione che si possa fare a meno degli armamenti, è molto più pericoloso che comprare degli aerei, molto più costoso che non fare niente.

 

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