Il simbolo del fascismo, quello che fa ancora presa sull’opinione della gente e riesce a mettere d’accordo gli oppositori, è la bonifica delle Paludi Pontine.
Vent’anni dopo la Democrazia Cristiana ricostruì l’Italia dalle rovine della guerra e consolidò la democrazia: eppure essa non viene più ricordata neppure per le cose importanti che ha realizzato ed è scomparsa nell’oblio. Invece il Partito Comunista, nelle sue svariate reincarnazioni, non ha perso il suo “appeal”, nonostante non si ricordi nulla di significativo della sua azione politica.
Anche il “berlusconismo”, la cui esperienza eguaglia nel tempo quella del regime di Mussolini, non ha lasciato nulla di caratterizzante; l’Italia è rimasta nella stagnazione, prigioniera dei sogni e delle promesse mancate con demagogica incoscienza.
Gli italiani hanno liquefatto la DC perché i suoi politici rubavano per rimpinguare le esangui casse del partito ma adesso che il finanziamento pubblico ha reso superflua tale necessità, si continua egualmente a rubare per i propri interessi. Ieri c’è stata l’indignazione e la rivolta morale, oggi prevale l’indifferenza e la rassegnazione: la perdita della memoria significa perdita d’identità.
Ciò che fa ancora breccia nel ricordo di quel tempo è il Piano INA-case che ha cambiato il panorama dell’Italia, delle nostre città e dei nostri paesi, un esempio di riformismo keynesiano di grande portata. La progettazione integrale urbanistica, l’integrazione tra casa e servizi pubblici, la presenza di spazi verdi, un modo cioè di abitare e non solo di dormire, costituiscono l’attuazione di un’idea di solidarietà e di cittadinanza. Questa lezione fu attinta dal cristianesimo sociale e dalla economia sociale di mercato, ma anche dall’esperienza della scuola della Bauhaus: a questa straordinaria esperienza collaborarono economisti e architetti dell’epoca, uniti nell’ambizione di costruire fisicamente la nuova città e la nuova società. L’ispirazione del Piano Ina-case consisteva nella percezione che la forma urbana si realizza quando lo spazio è pensato come bene comune, che i progetti pubblici funzionano se hanno una base culturale condivisa.
La lezione del ministro Amintore Fanfani, politico ed economista, è ancora attuale, la pianificazione è necessaria per salvare l’ambiente e il paesaggio dalla sregolata cementificazione del territorio, ma l’occupazione “diretta” di migliaia di lavoratori serve a rilanciare la produzione, la domanda di beni, i consumi; a rimettere in moto l’economia.
Per creare occupazione occorre seguire l’esempio del Presidente degli Stati Uniti Roosevelt che, con il New Deal, assunse in pochi mesi milioni di persone e avviò a soluzione la grave depressione degli anni Trenta.
In Italia ci sono circa quattro milioni di persone che non hanno lavoro; una ricchezza pari a decine di miliardi l’anno non viene prodotta e non diventa domanda, commesse per le imprese, consumi per le famiglie. Diminuire le tasse è utile ma non risolutivo quando non c’è la domanda di beni o questa viene indirizzata verso prodotti provenienti da altri Paesi. Occorre prendere coscienza che il modello produttivo europeo è entrato in crisi con la globalizzazione, è quasi impensabile che i posti di lavoro persi possano essere ricostituiti ritornando al precedente modello; molte imprese delocalizzano i loro impianti in Paesi dove i salari e le condizioni ambientali e fiscali sono più favorevoli.
Almeno nel breve periodo può essere risolutivo lo sviluppo di nuovi settori, come quello dell’economia ecologica; il dissesto idrogeologico riguarda più di un terzo del Paese, compresa la pianura padana a causa della intensa cementificazione, e i soldi per riparare i danni si trovano sempre; non sarebbe meglio spenderli prima in opera di prevenzione e di riassetto territoriale? Le Regioni non possono tirarsi indietro, ad esse la nostra Costituzione assegna il compito prioritario della tutela dell’ambiente e della salvaguardia del territorio e pertanto anch’esse sono impegnate a diminuire la spesa pubblica improduttiva per investire i margini di risparmio nel rilancio della economia e dell’occupazione. Anche i fondi dell’Europa che sono già stanziati a nostra disposizione possono essere realmente impegnati se vi saranno dei concreti progetti da attuare.
La pretesa di avere ampi poteri di autonomia regionale mettendo sempre i costi a carico della fiscalità generale e lasciano allo Stato centrale l’iniziativa pianificatoria è palesemente assurda perché l’autonomia è essenzialmente assunzione di responsabilità. La miopia riguarda anche il degrado del nostro immenso patrimonio culturale che opportunamente e gradualmente valorizzato può creare centinaia di migliaia di posti di lavoro e migliorare la nostra bilancia dei pagamenti con l’attivazione di correnti turistiche verso il nostro Paese. La politica deve essere anche creatività e gli esempi del passato dimostrano che lo sviluppo comincia sempre dalle idee, dalla cultura, da una classe dirigente non aggrappata solo al potere, che si sente responsabile del futuro comune.
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