Esiste un riscontro singolare e nello stesso tempo inquietante della crisi di cui siamo vittime innocenti che ci rimanda al tempo della guerra quando i cittadini con l’acqua alla gola facevano le fila ai Monti di Pietà per ricavare qualcosa dal “tesoro” di famiglia di cui, con le lacrime agli occhi, si stavano privando.
È il mercato del cosiddetto “compro oro”, dove il metallo prezioso rappresenta un po’ di tutto, catenine, anelli, collane, orecchini, braccialetti, vasellame, lingottini. Risultato: gli italiani nel 2012 hanno venduto 200 tonnellate d’oro per un valore di 8 miliardi di euro. Convocato dalla Commissione Industria del Senato, Ferruccio Dardanello, presidente della Unioncamere, ha riferito un dato largamente sconosciuto che dà la misura della delicata situazione. Secondo le Camere di Commercio 17 milioni di persone sono entrate in una delle oltre 20mila agenzie “compro oro”, sorte come funghi in ogni città, per compiere un sacrificio prima affettivo che materiale. Una sorta di suicidio dell’anima, l’addio ai ricordi più cari, della prima Comunione, della Cresima, del battesimo, delle nozze, del testamento.
Stando alle dichiarazioni delle associazioni del settore, allargando lo sguardo al 2011 la cifra commerciata sale a 300 tonnellate con un giro d’affari di 14 miliardi. Queste cifre da capogiro sono contenute nei dossier che dovrebbero finalmente dare regole certe al settore, pur se attualmente sono fermi ancora in Commissione Senato.
I circa 20 milioni di pezzi ceduti in modo definitivo (a differenza di quelli affidati provvisoriamente ai Monti di Pietà), si calcola siano finiti fuori da qualsiasi controllo. Per avere un’idea si deve tenere presente che in tutta Italia gli operatori autorizzati da Bankitalia sono 554. Il resto si muove fuori dalle regole, favorito dall’assenza normativa, spesso paravento per affari colossali gestiti dalla criminalità: riciclaggio e reinvestimento di proventi illeciti, ricettazione, frode ed evasione fiscale come risulta da centinaia di inchieste condotte dalla Guardia di finanza.
Ma anche chi non opera al di fuori della legge, fa affari d’oro. I margini di guadagno sono altissimi. Il meccanismo che favorisce l’utile è semplicissimo: si acquista a prezzi molto più bassi di quelli che vengono applicati dalle fonderie che comperano solo da operatori in grosse quantità. Senza norme specifiche e senza necessità di autorizzazioni, secondo la Guardia di finanza, tra il 2011 e il 2013 il numero dei “compro oro” è cresciuto di cinque volte. Infatti per intraprendere questa professione non servono dei permessi particolari. Ognuno la può fare. La sola legge esistente risale al 2000. Essa prescrive che unicamente chi fonde l’oro è obbligato a comunicare l’avvio dell’attività industriale mentre per i “compro oro” si tratta di un commercio di prodotti “da gioielleria” cioè “finiti”. L’unico momento “caldo” è quanto scattano i controlli dell’anti-riciclaggio e queste agenzie entrano nel mirino della Banca d’Italia con esiti spesso mortali..
Le imprese regolari sono oggi, secondo la Commissione senatoriale, fra il 30% e il 40%. Nei primi otto mesi del 2013, la Guardia di finanza ha sequestrato 179 chilogrammi d’oro denunciando 86 persone e arrestandone 52. Un controllo più mirato delle Fiamme gialle ha fatto emergere 113 milioni di euro non dichiarati con 36,5 milioni di IVA evasa e 31 evasori totali. Cifre che spiegano la zona d’ombra che offusca un mercato tanto redditizio da spingere molte gioiellerie a entrare in un settore ritenuto agli albori marginale, utile più che altro a rastrellare rottami d’oro.
La domanda imponente ha spinto l’offerta sino a che il mercato è riuscito a reggere. Poi la realtà è cambiata. La quotazione dell’oro è crollata e chi aveva da vendere ha venduto tutto. Il risultato è stato paradossale perché la crisi ha finito per colpire chi con la crisi si era arricchito. Molti hanno chiuso. Si calcola attorno al 30%. Tira una brutta aria. Crisi su crisi.
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