Le galoppate del mattino, con Molteni, Palvis, Zaini o con qualsiasi altro uomo di scuderia e qualsiasi cavallo ti dessero da montare. Com’erano belle le Bettole. Un ippodromo – se vogliamo – di dimensioni piuttosto ridotte ma sempre favorito anche per via del fascino della sua estate e della vicinanza con Milano che sollecitava l’uscita dei tantissimi ippofili del capoluogo vuoi per sfruttare la bellezza del sito vuoi per sfogare la loro passione per i purosangue e per il gioco.
Arrivavano, più che con mezzi propri (del tutto assenti durante la guerra) con il treno nonostante il rischio – soprattutto sul finire delle ostilità – dei mitragliamenti. Oppure, in epoca successiva, con qualche autobus (partenza da piazza Castello o Cadorna).
Si correva solo di giorno, con una decina di giornate (mercoledì e domenica) tra luglio e agosto e con “Premio Varese” e “Criterium” sempre in vetta alle prove dell’intera riunione. Le notturne arrivarono dopo quando l’ippodromo, sotto il regno di Carlo Curti, cambiò aspetto ed importanza.
Fu una favola meravigliosa quella dei Curti con Carlo a regnare su tutti incontrastato, preso da un’imprevedibile passione ereditata – cogliendo tutti di sorpresa perché lui, Carlo, di cavalli proprio mai si era interessato – dal cugino Virginio e dal padre Vittore che all’ippica, invece, avevano già venduto l’anima.
Belle le riunioni con i colori delle scuderie varesine a trionfare frequentemente non senza, però, lasciar posto alle milanesi, piemontesi, toscane e con minor frequenza romane, che alle Bettole presentavano ottimi soggetti così come i migliori fantini ed i più qualificati allenatori.
Un bellissimo mondo allora in pieno sviluppo in tutta Italia ma con Varese come fiore all’occhiello con quei pienoni di pubblico dalle seimila alle ottomila presenze di norma e con cifre che si aggiravano sulle diecimila per gli eventi più importanti.
Pubblico attratto dallo spettacolo e dalle ristrutturazioni che soprattutto Carlo Curti aveva voluto.
Era bello tutto ma era anche un’altra ippica a livello nazionale, colpita in maniera grave, in questi ultimi tempi, con una sola sostanziale spiegazione: la mancanza di supporto a livello governativo più incomprensibilmente unica – ove si raffronti, con uno sguardo panoramico, con quella europea o mondiale che di simile funerea situazione non ha proprio patito. Questo a livello nazionale portandosi dietro i non meno tristi risvolti locali.
Rimane ancora bello – e non può essere cancellato – il ricordo dell’ippodromo al mattino per essere, ovviamente, rimasto tale e quale e che senza nulla togliere all’interesse delle gare è altra cosa. E quello che vede la pista a rotazione impegnare i cavalli per i lavori di preparazione nel silenzio totale con il sole che si alza d’estate alle prime ore quando si è già in pista.
Questo è il più bell’ippodromo. Ed è il nostro.
Per il resto solo tristezza. Ci sono stato subito dopo la notizia dell’incendio una domenica pomeriggio. Con nodo in gola, assolutamente atteso, per la sensazione di una lenta agonia. Anche se si spera – con l’aiuto di qualche fleboclisi – di rianimare il malato (per mettere almeno in piedi la riunione di galoppo di giugno) ma per il momento manca totalmente il medicinale da inserire nella tipica bottiglietta.
Intanto – in una speranza che giustamente non può mancare anche se accompagnata da non poco pessimismo – gli adempimenti burocratici vanno avanti:
1) il Comune ha autorizzato la costruzione della pista per il trotto;
2) è allo studio un piano finanziario stranamente definito tale in mancanza di fondi;
3) sono stati spediti i documenti all’Unire;
4) si attende qualche finanziamento privato per una riunione – altrimenti impossibile – con inizio a giugno ma, ovviamente ancora da programmare.
Questi i programmi sulla carta. Che non possono dimenticare, però, l’assenza di possibilità economiche.
Pensandoci aumenta quella tristezza di cui si parlava e diminuisce la speranza. Si attende la bacchetta magica per invertire i termini della situazione.
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