Sfogliando i quotidiani di questi giorni (periodo in cui tra l’altro si è svolta a Bologna la Fiera del libro per ragazzi), mi sono imbattuta in un lungo e complesso articolo sul tema dell’infanzia e dell’adolescenza che sarebbero scomparse nella società contemporanea. Quest’età della vita si starebbe dissolvendo perché i ragazzi sono precoci, adultizzati oltre misura, trattati alla pari da genitori che li vogliono amici, abituati a essere sempre connessi ecc. Temi non nuovi, insieme alla consunta affermazione che “non ci sono più i bambini di una volta”.
Ma viene da chiedersi il senso di certi allarmi lanciati da intellettuali che si occupano di filosofia, o di pedagogia, di sociologia, sulla mutazione genetica di una categoria di cittadini, i minori. Certo che noi eravamo diversi. Eravamo sforniti degli strumenti tecnologici che oggi contribuiscono a mantenere gli individui collegati in ogni istante, tra loro e in rete: niente cellulare che ci riprendesse in un bel “selfie” da “postare” su una pagina del social network preferito! Noi delle precedenti generazioni abitavamo un tempo in cui le soluzioni per il compito in classe giravano tra i banchi su foglietti strettamente arrotolati, recapitati appena il professore si girava dall’altra parte. Oggi non esiste relazione interpersonale che non si avvalga del variegato universo tecnologico che, bisogna ammetterlo, ha anche prodotto grandi progressi a vantaggio dell’umanità intera.
Ecco allora che sarebbe più ragionevole imparare a gestire i cambiamenti epocali che investono infanzia e adolescenza delle nuove generazioni anziché prefigurarci scenari inquietanti e lanciare Sos poco comprensibili. Leggo: una docente dell’Università Tre di Roma, titolare dell’unica cattedra di sociologia dell’infanzia esistente al mondo (!), lancia un furioso (trovo l’aggettivo nell’articolo che espone la teoria) j’accuse alla società, responsabile della scomparsa, forzata s’intende, dell’infanzia. Tesi che si basa sull’analisi delle fasi della vita che negli ultimi decenni si sarebbero modificate riducendosi a due soltanto, la prima infanzia e la vecchiaia. In mezzo una lunga, lunghissima età indistinta, un magma di tempo e spazio dove bambini, ragazzi, giovani, adulti e anziani convivono indistintamente, fruendo delle medesime opportunità, degli stessi oggetti di consumo, di abbigliamento e cibi omologati, addirittura di un linguaggio uni generazionale.
Rabbrividisco immaginando l’incombere sulle spalle dell’umanità di un evento terribile come la scomparsa dell’infanzia. Ma io un po’ diffido delle grandi semplificazioni, senz’altro utili al dibattito specialistico perché lanciano provocazioni per una riflessione sull’infanzia e sull’adolescenza. Ma in quali laboratori nascono certe teorie? In luoghi asettici dove i bambini reali non sono quasi mai rappresentati e dove il sapere è prevalentemente teorico. Spesso poggiano sui dati ricavati da indagini effettuate su campioni poco significativi di una fascia di popolazione. Talvolta ho l’impressione che si reggano sui fragili risultati di ricerche parziali da cui si distillano tendenze poi divulgate come leggi universali.
Per verificare alcune suggestioni contenute negli articoli è utile osservare i ragazzi “dal vivo”. Bambini e ragazzi, quelli veri, ancora oggi nell’intervallo corrono per i corridoi della scuola (e non si potrebbe!), si danno spintoni, si prendono in giro, si abbracciano, si scambiano informazioni, esprimono, nel modo esuberante della propria età, la loro voglia di vivere. Più li osservo e più mi sembrano simili a come eravamo noi alla stessa età. I bambini reali amano costruire castelli di sabbia sulla spiaggia, si buttano a rincorrere un pallone quando lo vedono “passare”; i ragazzini possono rimanere ore e ore ad oziare e a parlare del nulla, le ragazzine continuano a confidarsi i primi segreti amorosi. Come ieri, come sempre. I bambini e i ragazzi di oggi a me sembrano diversi ma solo in quanto figli del nostro tempo, costretti a vivere in mezzo a pericoli nuovi, che noi adulti, educatori per scelta o per posizione, potremmo studiare e affrontare con maggiore impegno. Tuttavia correrò a comperare il libro della sociologa (Marina D’Amato, “Ci siamo persi i bambini”, Laterza, 2014). Le idee in campo educativo meritano di essere costantemente aggiornate visto che si occupano di fenomeni in continua evoluzione. E “noi” non possiamo certo pretendere di educare ancora oggi secondo i dettami, un tempo validissimi, di Quintiliano o secondo quelli di Rousseau. Però uscendo, qualche volta, dalle mura delle università.
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