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Ambiente

LAVORARE INSIEME

ARTURO BORTOLUZZI - 04/04/2014

La Villa e la Torre. Ho scritto all’assessore ai Lavori pubblici del comune di Varese avendo letto che il suo assessorato si sta muovendo in Europa per cercare i fondi per completare la ristrutturazione di Villa Baragiola a Masnago e per rendere fruibile per il turismo (quale balcone panoramico sul meraviglioso paesaggio varesino) la Torre civica in piazza Monte Grappa nel centro della città.

Non posso certamente non plaudire alla importante iniziativa. Ho però dei se e dei ma che vorrei fare presenti.

Riguardo i progetti comunali che ho sentito per la Torre civica, avrei qualcosa da dire in negativo, soprattutto a proposito dell’eccessiva megalomania di quanto ho sentito. Rimando ad altri e più avanzati tempi una loro disamina.

Vorrei, invece, soffermarmi sui metodi che il Comune di Varese utilizza per ricercare i finanziamenti. Perché il Comune non ritiene necessario fare squadra con gli stakeholders del territorio per aumentare considerevolmente il valore di una richiesta da mandare in Europa e vuole, invece, portarla in avanti da solo con il rischio di non farla finanziare?

In molti casi l’associazione di cui sono il legale rappresentante, Amici della Terra Varese, ha avuto da ridire su determinate scelte del Comune. Sulle questioni dell’innovazione di Varese, sulla crescita della qualità della vita dei varesini, sulla conservazione della nostra storia e del maestoso paesaggio varesino, siamo, invece, sempre stati d’accordo d’accordo con il comune. Consideriamo questo, come associazione varesina che aderisce alla Associazione Varese Europea proprio con il Comune di Varese, un comportamento doveroso. Gli associati a un ente varesino non possono disinteressarsi del futuro della propria città capoluogo.

Va benissimo che il Comune di Varese, voglia perseguire l’accesso a un finanziamento europeo, dimostrandosi attivo e attento. Il Comune non può (una volta che il consiglio comunale, a larga maggioranza, ha deciso di mantenere un rapporto vivo con Varese Europea ), però, non coinvolgere quest’associazione, e noi che ne facciamo parte, nei suoi desiderata e agire da solo.

Che senso ha Varese Europea se non persegue gli scopi degli enti del territorio, cercando di poter trovare la strada migliore perché gli stessi possano trovare un finanziamento? Il metodo più conveniente perché il Comune possa muoversi per richiedere finanziamenti, è, secondo noi, quello di fare squadra, cercando appoggi ulteriori nei diversi e molteplici attori pubblici e privati del territorio.

Quanto successo a Villa Baragiola dovrebbe far riflettere: il Comune è andato da solo e il progetto è stato bocciato. Attendiamo, allora, dall’assessore, un segno completamente diverso da quello che s’è voluto dare, annunciando la rincorsa, con un metodo vecchio, a fondi europei. Il fare squadra, però, non è cosa che si attua di punto in bianco. Occorre coltivare e guadagnare l’altrui fiducia. Ci vuole tempo per conquistarla.

Il Comune è chiamato a ricoprire un ruolo diverso dal passato. Quello di coordinatore e di stimolatore facendo partecipare a ogni progetto gli stakeholders del territorio. Dovrebbe, quindi, essere invogliato il potere a mettere in relazione le persone, di appassionarle ai progetti e di invogliarle alla partecipazione.

Era vero prima, lo è ancor più oggi grazie alle nuove tecnologie digitali. Non sempre queste sono la discriminante per la nascita di un’esperienza che può apparirci dirompente. Ci sono buone pratiche che nascono dal basso e che non hanno che bisogno di fiducia e di un luogo in cui formarsi per poter emergere. Sfruttiamo così l’Internet veloce che Varese ha il privilegio di poter avere tra le prime città italiane.

La progettazione partecipata, che vorrei che il Comune promuovesse, nasce, prima di tutto, da uno snodo di relazioni: relazioni interpersonali, relazioni tra i diversi ambiti professionali e relazioni tra le competenze coinvolte. A mantenere la rotta deve essere una visione comune di progetto. Questa è, nella fattispecie, la progettazione partecipata: un grande esercizio di cittadinanza. Coinvolgendo attivamente tutti i portatori di interesse (impiegati, partner, clienti, cittadini, utenti finali, rappresentanti delle associazioni del terzo settore e delle associazioni presenti al tavolo delle parti sociali) nel processo di progettazione, si creeranno tutte quelle connessioni che garantiranno che il progetto risponda ai bisogni dell’utente che ne usufruisce, abitando in un territorio che vede aumentare i propri indici di qualità della vita per via dello stesso.

Al centro ci dovranno essere gli eletti, ma il loro compito come si è detto deve essere più limitato rispetto al passato. Non dovranno fare. Dovranno, sotto alla loro guida, far fare. Nella progettazione, andranno, insomma, coinvolte le persone. Il comune di Varese deve porsi questo obiettivo. Certo occorrerà andare oltre il modello della partecipazione spontanea, come è in molte occasioni, la nostra, che troppo spesso è stata caratterizzata da molto entusiasmo e da idee che riteniamo innovative, ma che ha portato, per mancanza di un rigore, a subire cocenti delusioni. Va attuato un modello di partecipazione organizzata in cui siano ben chiari i processi decisionali, gli obiettivi strategici e la quantità e la qualità dei risultati. In questo modello una forte rilevanza è data all’elemento “imprevisto”: spesso alcune soluzioni non sono mai stati adottate perché il pensiero del politici non le aveva colte come opportunità, non le aveva rilevate come esigenze.

La metodica che propongo pare avere il rischio di apparire utopica. ma non lo è. Ma è la politica che sembra invece aver perso il suo scopo di mezzo. Non deve essere considerato utopico il sentire da parte della politica il popolo sovrano nella fase preparatoria alla decisione finale in conformità proprio con la Costituzione italiana.

Come dice Salvatore Settis: “C’è un orizzonte dei desideri di cui non possiamo sbarazzarci liquidandolo come ‘utopia’. Destati dal letargo dal sinistro galoppo della crisi, noi italiani spiamo ansiosamente un domani sempre più incerto. Sempre più frequentemente intuiamo dove sono i problemi, prendiamo coscienza delle loro dimensioni e della povertà delle soluzioni offerte dalla nomenclatura della politica, proviamo a immaginare altre strade, a costruire altri ideali. Raramente elaboriamo una visione d’insieme, ancor più raramente riconosciamo quanto sia vitale tener d’occhio la dimensione globale e quella nazionale dei problemi per trovare risposta ai nostri bisogni.

Il traguardo che ci poniamo è, come detto sopra, un futuro migliore per noi stessi, per i nostri figli, per i figli dei figli dei figli. Vogliamo campagne ben coltivate, cibo di qualità, città bene ordinate, un ambiente sano, un paesaggio improntato all’armonia e alla bellezza, una sanità pubblica funzionante, una scuola che educhi alla responsabilità e alla cittadinanza. Vogliamo più equità, più lavoro, più giustizia, più libertà, più cultura, più educazione, più ricerca, più democrazia. Perché questo sia possibile, è essenziale ritrovare un senso potente e diffuso del bene comune, cioè del capitale sociale che stiamo sperperando.

Quest’orizzonte dei desideri può apparirci irraggiungibile, ma non è un’utopia astratta. Corrisponde a un progetto per l’Italia, il progetto della Costituzione, dove la tutela dell’ambiente, della cultura, dell’arte, della ricerca si annoda ad altri valori: libertà, uguaglianza, diritto al lavoro, diritto alla salute. Ha ragione Calamandrei: la Costituzione è ancora incompiuta ma è un progetto concreto, e proprio per questo tocca a noi portarlo a termine. Questo è l’orizzonte verso cui dobbiamo camminare: l’orizzonte della legalità, l’orizzonte della democrazia. La Costituzione siamo noi, i cittadini. Spetta a noi lottare perché essa non sia un’utopia destinata a morte certa, ma diventi la vera agenda della politica”.

Facciamo dell’utopia una realtà.

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