Non passa giorno che il Governo Monti non venga attaccato a palle infuocate e incatenate dagli orfani di destra e di sinistra di Berlusconi. Quelli di sinistra dicono che l’esecutivo, che il PD sta garantendo con i suoi voti, non è “un governo di sinistra,” “non è l’esecutivo che vorremmo” eccetera. Alcuni parlano addirittura di un Monti che avrebbe “tradito le aspettative” ed amenità di questo genere. La cosa triste in questo frangente è il dover constatare, ancora una volta, quanto una certa pseudo – sinistra (Di Pietro è un caso a sé) non abbia appreso nulla dalla lezione della storia e soprattutto non abbia mai riflettuto su come abbiano pesato negativamente, in tutti questi ultimi anni, le divisioni e i ritardi nelle analisi e nell’elaborazione di una politica unitaria di sinistra riformista ed alternativa al centro-destra, consentendo in definitiva a Berlusconi di rimanere al potere per lungo tempo senza che questa variegata sinistra abbia fatto qualcosa di serio per toglierlo definitivamente dalla scena politica.
I reduci di Bertinotti, di quel “parolaio rosso” che aveva fatto cadere il governo Prodi in nome di “equilibri più avanzati” (si è visto poi quanto avanzati fossero quegli equilibri berlusconiani che si sono succeduti!) insieme a Di Pietro e sostenuti da una campagna del giornale il Fatto di Padellaro e Travaglio si sono limitati in sostanza, al di là di giuste denunce e condanne doverose ed opportune contro le tante leggi ad personam, ad alimentare un antiberlusconismo d’accatto che non è riuscito a scalfire il potere del premier. Tutta questa politica, chiamiamola così, ha messo in chiaro che il berlusconismo e l’antiberlusconismo, in questo passato ventennio, sono stati vicendevolmente funzionali a se stessi: l’uno alimentava e manteneva in vita l’altro. Con il risultato che il vero nemico di Berlusconi, quello che lo ha portato a dimettersi, non è stata la forza variegata dell’opposizione, anche nelle sue forme estreme e giustizialiste, ma Berlusconi medesimo. Infatti il premier, con la sua arroganza, con la sua vita dissoluta, gli scandali, la corruzione, il malgoverno, la lite con gli alleati, la conseguente paralisi governativa, le mancate adeguate risposte alla crisi, le manovre farraginose ecc., ha sciupato una maggioranza parlamentare vastissima e un patrimonio di consenso intorno a sé ingente, conquistato con le sue indubbie capacità comunicative, ma soprattutto con i suoi potenti mezzi mass mediatici.
Il premier, quando l’economia alcuni anni fa cominciò a scricchiolare, cancellò il termine “crisi” dal vocabolario politico perché non essendo ammessa una crisi nel tempo dell’ottimismo facilone del suo governo, non potevano esserci neppure misure anti-crisi, cioè manovre impopolari. Ma ironia della sorte a costringerlo alle dimissioni, più che i suoi scandali sessuali, i numerosi e gravi processi nei quali è tuttora implicato (impensabili all’estero senza immediate dimissioni), è stata l’economia: quell’economia cioè di cui si diceva un grande conoscitore ed esperto. Cosicché la crisi economica, cacciata dalla porta da Berlusconi, è rientrata prepotentemente dalla finestra, presentandogli il conto del possibile fallimento del nostro Paese, cioè della settima potenza economica mondiale.
Se oggi siamo riusciti a togliere dalla scena politica Berlusconi, che aveva tutti contro e non godeva più di nessuna considerazione all’estero, dobbiamo ringraziare soprattutto l’abile regia politica del Presidente Napolitano che, indicando Monti, come capo dell’esecutivo, ha fatto riacquistare dignità e ruoli all’Italia nel contesto internazionale. Stiamo uscendo faticosamente da un incubo e da una palude durati quasi 20 anni, dove il linguaggio, la morale, la politica, la verità, il buonsenso i valori morali, tutto è stato sconvolto e ridotto a strame. L’aria nel nostro Paese si va lentamente purificando; basterebbe soltanto questo per capire l’importante successo che l’opposizione, mettendo da parte per una volta gli interessi legittimi di partito e guardando unita agli interessi generali dell’Italia, è riuscita a far mancare la maggioranza a Berlusconi e a farlo cadere.
Ma l’estremismo parolaio, nonostante questo primo importante risultato, nelle attuale condizioni politiche date e non in quelle non date, e nei tempi stretti ed impellenti, dettati dalla grave crisi e dagli organismi europei, continua purtroppo a dire che questo “non è il governo di sinistra” non è “il governo che vorremmo,” perché “fa la stessa politica berlusconiana, senza Berlusconi,” eccetera.
Questi signori ignorano o fanno finta di ignorare, per puro calcolo elettoralistico, alcune cose che un politico alle prime armi dovrebbe conoscere. Come si fa a parlare di “tradimento,” come se le sinistre avessero vinto le elezioni e il loro governo facesse una politica non corrispondente ai programmi presentati agli elettori? Le cose, evidentemente, non stanno così. Si dimentica che l’esecutivo Monti non è il governo della sinistra che ha vinto le elezioni, ma è il governo espressione di un Parlamento dei nominati nel 2008 con il “porcellum”. La mancata equità nelle proposte dell’esecutivo, la non adeguata politica fiscale contro gli evasori, la questione non risolta delle frequenze televisive, il ritardo nel processo delle liberalizzazioni eccetera, non nascono dalla cattiva e cinica volontà di Monti, “affamatore del popolo e difensore dei ricchi” ma dai “paletti” messi al governo dal centro-destra: è il prezzo che l’esecutivo Monti deve pagare per l’uscita di scena di Berlusconi.
Veramente c’è ancora in Italia qualcuno che pensa che l’uscita di Berlusconi dall’agone politico sia indolore, senza che il Paese paghi pesanti prezzi economico-sociali? Non si illudano i democratici! Se non abbiamo avuto sinora la fine di Berlusconi delineata da Moretti nel finale del film il Caimano, lo dobbiamo alla grave crisi economica, alla vigile presenza di Napolitano, e per una volta, all’opposizione unità e decisa di UDC, PD e IDV che hanno tolto ogni margine di azione politica al premier. Berlusconi è stato sconfitto, ma non vinto definitivamente e la sua presenza negativa si farà sentire ancora pesantemente con innumerevoli “paletti”volti a tutelare il suo potere economico, la sua persona dai processi e il suo bacino elettorale.
Monti, per chi lo avesse dimenticato, ha ricordato chiaramente che il suo governo è nato perché le forze politiche, abdicando alla loro precipua funzione di amministratrici della cosa pubblica, non essendo state capaci di imporre agli italiani, a ridosso delle elezioni, i pesanti sacrifici e la severa politica di risanamento che la grave crisi e l’Europa reclamavano, hanno chiamato a fare scelte impopolari dei “tecnici” che, non dovendo rispondere ad un proprio elettorato, potevano fare quelle scelte necessarie per tentare di porre un argine alla crisi.
Il Governo si è insediato da pochi giorni e già si vedono dei risultati positivi.
Ma chiediamoci: che cosa succederebbe se Monti attaccato, non solo dalla destra becera e orfana del Cavaliere, ma anche da settori della sinistra e dei sindacati, si dimettesse? Quali sarebbero le reazioni dei mercati, non solo in Europa, ma in tutto il mondo? Un paese allo sbando, preda di ogni forma di speculazione finanziaria e di ogni avventura politica. Il Presidente della Repubblica, in questo contesto, di fronte alla resa dei partiti, dovrebbe sciogliere le Camere e indire le elezioni. Ma andare alle elezioni con questa legge e fare una campagna elettorale di due tre mesi che diverrebbe giocoforza un referendum pro o contro Berlusconi, con la politica imbarbarita e ridotta ad insulti e fango sugli avversari, con un’Italia sempre più in crisi, sarebbe una iattura, in altre parole, un suicidio.
Solo politici irresponsabili e spinti da calcoli elettoralistici miopi possono auspicare la caduta del Governo Monti e prefigurare nuove elezioni come sbocco democratico della crisi economica, sociale e politica in cui versa l’Italia.
Che fare? È necessario reclamare con forza misure più eque per tutti, tutelando i ceti meno abbienti e facendo pagare quelli che sinora non hanno pagato, evadendo le tasse. La pressione delle forze politiche responsabili e di quelle sindacali stanno ottenendo già alcuni significativi progressi verso un’equa ripartizione dei sacrifici, bisogna lottare ancora uniti, nel Parlamento e nel Paese, ciascuno rispettoso della propria autonomia.
La fase politica nuova che si è aperta con il Governo Monti può essere l’ultima occasione per cercare di non precipitare in una crisi senza vie di uscita e permettere alle forze di maggioranza e di opposizione, dopo l’epoca berlusconiana, di riorganizzarsi e a preparare nel modo migliore, con una nuova legge elettorale, le elezioni del 2013, dando all’Italia un governo in grado di rimuovere le macerie del berlusconismo e fare finalmente quelle riforme strutturali delle quali ha da tanto tempo ormai urgente bisogno il nostro Paese.
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