Nel prato ci sono delle verità naturali, il fiore, l’erba, l’albero, e se noi non ci pensiamo, lui, il prato, viene grande lo stesso anche se mangiato dai cavalli, o pestato dagli uomini mentre invece, con sopra il cemento, fa più fatica. E non per volontà suprema o umana, ma perché così fanno tutti i fili d’erba, il trifoglio, o altre erbe che non conosco, fiori che si riuniscono sul prato tutti per crescere a primavera. Un prato è davvero un concerto, perché se è vero che si sente il rumore di un ramo che si spezza, è anche vero che è nel silenzio che cresce una foresta o inizia un prato. Perché se un centimetro quadrato tu lo guardi da vicino, o con una piccola lente d’ingrandimento, vedi che c’è un mondo dentro, pieno di musica e strumenti, anche un pezzo di concime, una formica, una cimice, la tana di un grillo o di una talpa, in certi momenti sembrano parte dello stesso silenzioso spartito. Anche sotto la neve il prato vive, no, anzi riposa con le sue radicine, come fa il frumento o il mais e si preparano alle spartizioni delle stagioni. Cosa dice la caricatura di Madre Teresa nel film della Grande Bellezza? Io mi nutro di radici perché sono importanti. E soffia sugli aironi rosa che si involano verso l’alba luminosa del Gianicolo.
Senza la poesia noi possiamo vedere la bellezza. E come diceva Rimbaud, il poeta è un veggente, ed è vero! Quante volte in un verso o in una felice intuizione letteraria abbiamo visto, o colto segni, indizi di una verità oggettiva. Ma questo non serve a nessuno (scempio della Prima Cappella docet). E quanti prati e boschi sono andati bruciati e andranno distrutti. Ho difeso il prato perché nel verde ci sono nato, e la mia casa è una guardiola di cemento anche lei, per le piante, gli insetti, la volpe, il grillo, le beccacce, le cince, i corvi, le rondini, i passeri, i pettirossi, le gazze ladre e le mosche e le zanzare, che mi fanno compagnia, in ogni stagione. Tutti dovrebbero avere un prato dove zampettare a piedi nudi e sentire le voci dei nostri antenati che ci dicono le paroline da sotto, nostri suggeritori dall’eternità.
E la Natura come la Poesia dovremmo capirla anche senza spiegarla, dobbiamo amarla così come certi orti d’estate, carichi di doni, ma la natura degli uomini, me compreso, a volte fatica a comprendere.
La cosa più difficile che ho fatto negli ultimi anni è stato creare questo paesaggio, amarlo, curarlo, difenderlo, adesso qui voglio vivere in pace, anche senza amore ma non senza la libertà di camminare sull’erba, non senza questo minuscolo punto blu davanti a me, il lago e sua maestà il Rosa. A volte vedo anche la punta del Monviso.
La verità qualche volta coincide con la realtà. Almeno una volta al giorno quando il sole sorge.
La luce nelle stanze rallegra il giorno delle signore che le ripuliscono. Se c’è la pioggia le signore non vedono che c’è rimasta la polvere. Se c’è il sole c’è anche la luce, e allora si vede meglio anche la verità.
Vivo in questa casa perché gli alberi, i prati, la vista sul mondo fanno parte del paesaggio e qui al tramonto come oggi c’è solo lui, che non si sposta mai o cambia colore. Se ne sta tutto il giorno ad aspettarmi, e non si muove, non scrive poesie, sono gli altri che scrivono sempre di lui, e danza ed è felice quando è vicino alle margherite e ai papaveri, e i poeti ci scrivono sopra parole che gli somigliano. Lui le mangia, le deglutisce e poi le fa fuori con lentezza, e le fa sparire. Lui si chiama paesaggio perché è molto amico dei poeti e uno di loro diceva che il paesaggio è come una persona, ha bisogno di essere curato, coccolato, amato. E’ un luogo mentale prima di tutto. Invece noi continuiamo ad amare i gatti e i cani, le talpe, come fossero sorelle e fratelli e ce ne infischiamo del paesaggio che adesso è qui davanti a me con la neve e il sole che gli fa un bel vestito sui tronchi neri dei ciliegi che mi sembrano persino belli con le edere che si attorcigliano come sciarpe.
Dicono che il paesaggio sta li, che non lo porta via nessuno, non si muove, e invece non è così perché ogni giorno è diverso, le piante, le erbe, le primule e le viole hanno i loro crucci e come gli uomini non sono mai gli stessi. E e radici si muovono con filamenti sottili, quando sono felici il paesaggio è più bello, quando piove una pioggia brutta anche lui soffre, inutile nasconderlo, anche noi ce la prendiamo col cielo. Io sto ore e ore a guardarlo, anche di notte da solo per lunghe notti, lo guardo cambiare. Una volta per fare caserme e capannoni l’uomo ha tolto boschi e prati, ora che c’è la crisi, dentro i capannoni vuoti ricrescono boschi e prati. Certo è pieno di cicatrici il paesaggio, ma lui è forte e vincerà sempre, perché noi tapini mortali ce ne andiamo, e lui, a discapito delle nostre ferite resta sempre per i secoli nei secoli.
E la sua danza, è sempre diversa, e fa parte dei sogni, ogni volta che la vedo, c’è luce nei suoi occhi, una luce sempre più nuova. Come le carezze del tarassaco soffiato sul viso, che non sono vere carezze ma paracaduti di dolcezza, così belle che quando arrivi a casa le vorresti dare anche agli altri. Oggi che ho raccolto le primule e le violette, ho sentito un profumo ancora diverso. Poi ho scritto dei petali, dei miei brividi: “Se tu mi avessi chiesto per un anno/, io ti avrei detto per sempre,/ se ti avessi chiesto per l’eternità/, forse non ti avrei più trovata/, e invece non chiedi, mi sfiori, mi rassicuri,/ come in un rito magico/, insieme per sempre”. Questa è la poesia.
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