La nave affonda e si continua a chiacchierare. Il Titanic stava per inabissarsi e l’orchestra suonava. Le nostre chiacchiere perseguono però fini più perversi, hanno infatti uno scopo preciso: allontanare dai vari clan di appartenenza sospetti, indizi o elementi inequivocabili di responsabilità in ordine alle numerose situazioni di allarme rosso per la comunità nazionale.
L’ultima grande chiacchiera riguarda gli stipendi d’oro dei manager pubblici e tanto meglio se uno dei più pagati si ribella alla gogna: vera pacchia dei mezzi di comunicazione peraltro essi pure impelagati nella crisi con la Rai in testa a tutti.
Forse qualcosina del deficit nazionale si riesce ad abbattere riprendendoci i soldini che i lavoratori della politica si sono attribuiti, invece ben poco incideranno gli eventuali “tetti” imposti agli stipendi dei manager per i quali dovrebbe valere un preciso metodo di valutazione delle loro capacità.
A un dirigente magari raccomandato, a basso stipendio in omaggio alla crisi, è preferibile un manager strapagato, ma che sappia amministrare bene e salvi e rilanci aziende di portata strategica in ambito internazionale. E nel criticare emolumenti notevoli si tenga conto anche della scure del fisco qualora essi non siano annunciati al netto.
I soldi spesi per l’efficienza, la capacità gestionale, i risultati conseguiti sono sempre spesi bene: indicazioni in tal senso vengono dal privato dove i manager capaci sono contesi e retribuiti molto bene.
La spesa pubblica non soffre invece per gli stipendi dei sindaci ai quali si chiede sempre il massimo dimenticando che spesso non sono professionisti della politica e hanno la responsabilità dell’amministrazione del grande patrimonio rappresentato da una comunità.
È ammirevole lo spirito di servizio di chi si candida per guidare un Comune, dove nella gestione regole, usi e modalità di fatto vanificano un’azione che non può essere paragonata a quella di un manager pubblico e non solo per la stratosferica differenza dei compensi.
Un sindaco a tempo pieno, ben remunerato, aiutato da pochi assessori, un consiglio comunale ridotto nel numero ma dove per legge siano rappresentate le varie zone della città: ecco una ipotesi di svolta culturale nella gestione di una città. Ma è una svolta che dovrebbe essere supportata, a monte, da una vera rivoluzione nazionale in campo burocratico e amministrativo.
La Francia del dopoguerra ha creato come presidio della democrazia una scuola nazionale di amministrazione, alla quale si sono poi formate eccellenti generazioni di pubblici amministratori e burocrati. Sempre Oltralpe, dove oggi ci sono apparati statali e locali che funzionano, da anni si può contare anche su una Università per la formazione politica.
Noi di fatto continuiamo a coltivare il volontariato in politica e facciamo finta di scandalizzarci quando affiorano “distrazioni” o demotivazioni a volte pesanti.
Ci si lamenta ma non offriamo al Paese l’opportunità di una diffusa, qualificata, razionale opportunità di formazione del personale destinato a realizzare una solida impalcatura dello Stato. Continuiamo a essere l’ Italia dei concorsi e dei raccomandati. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
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