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Attualità

RIMETTERSI IN DISCUSSIONE

ALBERTO PEDROLI - 17/12/2011

 

Ci vuole un bel coraggio di questi tempi per dire che la realtà è positiva, che anche la crisi che ci investe è positiva… Ma lo è se ci rimette in discussione, se stimola una capacità di rinascita.

“La crisi sfida per un cambiamento” è infatti il titolo dell’incontro che si è svolto presso il cinema Vela martedì 12 dicembre, promosso da Comunione e Liberazione prendendo a spunto il volantino che il movimento fondato da Don Giussani sta in questo periodo diffondendo in tutti gli ambienti, ecclesiali, politici, economici, invitando apertamente tutti a confrontarsi sui suoi contenuti.

Da dove tanta “baldanza”? Ce la motiva lo stesso Don Giussani, come ha ricordato, in apertura, Carlo Petroni, responsabile di CL a Varese: “Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, ed insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata”.

Qual è dunque questa “idea”, questo metodo d’affronto da portare nella crisi presente come contributo a tutti, non solo ai credenti?

Due gli invitati: Paolo Preti, Professore di Organizzazione delle Piccole e Medie Imprese all’Università Bocconi di Milano e Giampaolo Cottini, Professore di Etica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Dichiaratamente provocatorio l’intervento di Preti: chi ricorda Marcinelle, Belgio 1956, dove trovarono la morte centinaia di minatori, in maggioranza italiani? Eppure non eravamo più nell’800 o in Paesi di oltre oceano, ma in Europa ed alla vigilia del boom economico… E che dire del quinquennio 1968-1973, culminato con l’austerity che appiedava tutti (non ancora per l’inquinamento) e ci mandava a letto alle 22 spegnendo i programmi TV? Ne abbiamo dunque fatta di strada da allora, eppure la crisi di oggi ci appare un dramma! Altro esempio: il Cadore, povero e messo in crisi nelle già poche risorse, che sa reinventarsi un futuro sull’industria del gelato che porta in tutto il mondo ed oggi primeggia nell’occhialeria. Ma sembra che in Italia dobbiamo toccare il fondo per rimetterci in cammino e questo è accaduto già tante volte nella storia. Ingegno, creatività, responsabilità sono dunque le risorse nascoste che la crisi può svelare spingendo ad un cambiamento che sia per il benessere di tutti.

Non poteva mancare un affondo al tema “cavallo di battaglia” del Professore: le piccole-medie imprese, che primeggiano nell’export (siamo sempre i secondi in Europa!) a suo giudizio vero volano della ripresa, non certo i grandi gruppi industriali.

A rimetterci sulla strada dell’atteggiamento esistenziale è l’intervento di Giampaolo Cottini: tre i passaggi concettuali del suo intervento. Primo: la natura della crisi è anzitutto antropologica e culturale, il che ci impedisce di cogliere che la realtà è buona anzitutto perché è, perché fatta da un Altro come segno che rimanda a questo Altro. Secondo: è la ragione che ci attesta che la realtà è positiva ma non nel senso di gradevole o senza contraddizioni e lacerazioni, neppure per un aprioristico fideismo, ma in virtù del suo legame con l’origine buona. Anche di fronte a sofferenze inspiegabili e immeritate, Giobbe deve dare ragione a Dio che gli risponde “dov’eri mentre creavo il mondo? Quando ponevo le fondamenta della terra?”.

Ma questo riconoscimento (terzo punto) non avviene per uno sforzo personale ma, al contrario, è la vita di un popolo che deve rinascere, ritrovandone le radici e riconoscendo una direzione di bene comune praticata dalla concordia di chi fa leva sulle migliori risorse perché riconosce un comune destino ed una comune appartenenza.

Trovano così un senso quanto mai attuale le parole di Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus Caritas est del 2005: “Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente — ogni uomo — ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale”.

Sono parole che spingono ad un impegno concreto, anche sul fronte politico, ponendo interrogativi su quanto realmente si stia facendo, al di là di ogni “manovra” e di ogni pur necessario sforzo per rientrare dal debito pubblico, per aiutare le “forze sociali” citate dal Papa (la famiglia in primo luogo) a crescere e dare risposte concrete alla crisi che stiamo vivendo, impegnando al massimo ogni energia ed ogni inventiva, ma al tempo stesso sapendo che la speranza si giustifica in Dio, non nell’esito dei nostri progetti.

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