Gli Amici della terra, associazione varesina di cui sono presidente pro tempore, ha presentato osservazioni sul PGT di Castelveccana. Evito di accennare a tutte le tematiche affrontate (e ringrazio, per la sua preziosa attività, Silvio Valisa).
Di un tema vorrei parlare. Spicca, infatti, in negativo nel Piano la previsione dell’Ambito di Trasformazione AT: in pratica, una lottizzazione della Rocca di Caldè con la collocazione di volumi edilizi privati per trentacinquemila metri cubi e “pubblici”, per altri settemiladuecento.
Si vorrebbe, così, alterare profondamente una realtà storica e paesistica costituente un unicum sul lago e per tutta la provincia di Varese o comunque per tutta la regione, nota in tutta Europa.
Caldè è talmente rinomata, che ha preso voga un modo di dire, consuetudinario, che definisce Portofino come “la Caldè del Tirreno”. Si immagini, in concreto, cosa sarebbe Portofino – come la conosce tutto il mondo – se il suo promontorio fosse lottizzato a mo’ di periferia urbana, con quarantamila metri cubi di villette e costruzioni varie.
Abbiamo espresso piena contrarietà alla previsione di PGT in questo senso, che è priva di ogni giustificazione. Non può essere distrutto il paesaggio varesino di cui tutti noi – come popolo sovrano – siamo proprietari e che come tali dobbiamo difenderlo e preservarlo allontanando quelli che mi paiono essere gli sciacalli di turno. È la Costituzione italiana a difendere il maestoso paesaggio italiano, ma questa non è mai stata resa attuativa con una legge specifica.
Battiamoci tutti assieme contro coloro che, secondo la mia opinione, per visione molto ristretta, agiscono solo in un’ottica di breve periodo, consumando la ricchezza più preziosa della quale possono nutrirsi gli italiani: il paesaggio agendo in base non alla volontà popolare ma a voti di maggioranza presi da poche persone.
Quanto previsto per Caldè, peraltro, è in assoluto contrasto con gli stessi principi ispiratori del PGT, che ripetutamente richiamano l’obbiettivo di preservazione dei valori paesistici del sito, contraddicendosi poi con le previsioni edificatorie.
Del tutto assurda è l’assimilazione dei volumi – dati per esistenti anche se meri ruderi di antico uso industriale e tecnico comprendenti camini/forni, masse murarie prive di spazi interni o ampi spazi di sola copertura – con moderni volumi residenziali ad alta densità abitativa, portante a risultati del tutto abnormi rispetto ad ogni corretto assetto urbanistico ed edilizio. In materia, stante la mancata disponibilità di serie ed approfondite rilevazioni, sì darà corso a richiesta di valutazione di legittimità e di merito in ogni sede, anche con riguardo a possibili responsabilità di chicchessia.
Anche a prescindere dall’inaccettabile danno ambientale e paesistico, si è già evidenziato sopra come la realizzazione di ulteriori edificazioni, non apporti benefici alla comunità locale. Noi diciamo: giù le mani dalla rocca. Contavamo che gli amministratori usassero il PGT per valorizzare il proprio territorio, stabilendo relazioni con città italiane ed anche estere. Dovevano poi essere presi accordi con le agenzie turistiche, italiane ed estere nonché con le imprese di trasporto.
Caldè, insomma, doveva costituire un elemento patrimoniale per il territorio varesino ma anche per la nazione italiana e non essere dato agli speculatori per incamerare denaro che terminerà in breve tempo.
Sarà considerata una utopia valorizzare il territorio ed il paesaggio. Credo, invece, che questo debba essere plausibile obbligo. Dice Salvatore Settis: C’è un orizzonte dei desideri di cui non possiamo sbarazzarci liquidandolo come “utopia”. Destati dal letargo dal sinistro galoppo della crisi, noi italiani spiamo ansiosamente un domani sempre più incerto. Sempre più frequentemente intuiamo dove sono i problemi, prendiamo coscienza delle loro dimensioni e della povertà delle soluzioni offerte dalla nomenclatura della politica, proviamo a immaginare altre strade, a costruire altri ideali. Raramente elaboriamo una visione d’insieme, ancor più raramente riconosciamo quanto sia vitale tener d’occhio la dimensione globale e quella nazionale dei problemi per trovare risposta ai nostri bisogni. Il traguardo che ci poniamo è, come detto sopra, un futuro migliore per noi stessi, per i nostri figli, per i figli dei figli dei figli. Vogliamo campagne ben coltivate, cibo di qualità, città bene ordinate, un ambiente sano, un paesaggio improntato all’armonia e alla bellezza, una sanità pubblica funzionante, una scuola che educhi alla responsabilità e alla cittadinanza. Vogliamo più equità, più lavoro, più giustizia, più libertà, più cultura, più educazione, più ricerca, più democrazia. Perché questo sia possibile, è essenziale ritrovare un senso potente e diffuso del bene comune, cioè del capitale sociale che stiamo sperperando.
Quest’orizzonte dei desideri può apparirci irraggiungibile, ma non è un’utopia astratta. Corrisponde a un progetto per l’Italia, il progetto della Costituzione, dove la tutela dell’ambiente, della cultura, dell’arte, della ricerca si annoda ad altri valori: libertà, uguaglianza, diritto al lavoro, diritto alla salute. Ha ragione Calamandrei: la Costituzione è ancora incompiuta ma è un progetto concreto, e proprio per questo tocca a noi portarlo a termine. Questo è l’orizzonte verso cui dobbiamo camminare: l’orizzonte della legalità, l’orizzonte della democrazia. La Costituzione siamo noi, i cittadini. Spetta a noi lottare perché essa non sia un’utopia destinata a morte certa, ma diventi la vera agenda della politica.
Facciamo dell’utopia una realtà. Adoperiamoci tutti perché non si approvi il PGT di Castelveccana come è stato presentato.
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