Museo è una parola dalle tante valenze. Evoca spesso vecchiezza e noia e manifesta anche un significato antagonistico nel senso che rappresenta una realtà incasellata, ferma, al di fuori di noi stessi: noi, gli spettatori, e al di là le cose da vedere in vetrine che sono anche barriere. Al MuSe di Trento – il Museo della scienza inaugurato la scorsa estate 2013 in una struttura ideata dall’architetto Renzo Piano – ciò non accade, non può accadere. L’antichità, la noia, le barriere sono annullate da spazi avvolgenti e coinvolgenti. Chi osserva non è un estraneo, ma egli stesso un protagonista della storia. E il museo si trasforma in un ambiente di vita quotidiana.
Il MuSe – realizzato nel quartiere delle Albere, di poco a Sud dal centro della città, e quasi a ridosso della linea autostradale che corre verso la Stretta di Salorno e verso il Brennero – ospita e integra le collezioni e le rassegne che nel corso degli anni erano state accolte in diversi palazzi cittadini e sul territorio circostante.
L’architetto Piano non ha disegnato soltanto la struttura museale vera e propria ma un’intera cittadella tutt’intorno. Le linee frastagliate degli edifici – s’è fatto notare – ricordano le montagne del Trentino, le Dolomiti. Ed è vero, perché dappertutto si respira, si ripercuote, si avverte sulla pelle una certa aria di famiglia.
Si entra nel MuSe e si sale, come per raggiungere subito una vetta. La visita comincia dall’alto, anzi dalla terrazza, e poi via a scendere: dalle aree in cui sono accolte le cose e le storie della montagna – gli attrezzi delle scalate e anche la loro essenza, il loro spirito – giù per cinque piani, passando attraverso la conoscenza della flora e della fauna alpina. Dai passaggi rocciosi e su ghiacciai – su vero ghiaccio – al bosco e agli animali piccoli e grandi che lo vivono. Dai rettili agli uccelli appesi che accompagnano, quasi in volo, i visitatori. È una visita che parte da lontano nel tempo, dalle tracce dei dinosauri e con un richiamo, che non poteva mancare, nei confronti di quel grande amico alpino – Ötzi –, l’uomo dei ghiacci “risvegliato” tredici anni fa e la cui mummia, un reperto unico al mondo, è oggi custodita al Museo archeologico di Bolzano.
Infine, l’approdo al piano di ingresso, dove sta il grande balenottero – sembra lo scheletro di un… dinosauro ma non lo è – spiaggiatosi nel 2006 sul litorale della Toscana. E, sull’uscita a Ovest del MuSe, la serra tropicale, una straordinaria, misteriosa oasi, un rifugio di verde.
Le trasparenze che traggono potenza e riflessi dai materiali usati nella costruzione – il vetro, il legno l’acciaio –, gli angoli lasciati all’interattività, allo studio e quindi alla riflessione, i rumori che sono spesso i rumori – ma anche i silenzi – della montagna fanno di tutta l’opera una cosa presente, una cosa che è nella vita e nell’ambiente; un ambiente che non separa, dunque, ma che ci avvolge perché ci domina – come le montagne di Trento – e per questa ragione è parte di noi.
Il MuSe porta dentro di sé una storia millenaria. La sua nascita tuttavia è breve: soltanto sette, otto mesi fa, benché tragga una ricerca espositiva e si basi su esperienze lontane. E ha già tanto da raccontare, il MuSe, e tanto ancora tanto da vivere. Molte aree lasciate vuote attorno alla struttura che fa da fulcro adesso si devono riempire, devono riprendersi una loro linfa vitale.
Come in un eterno infinito leopardiano: “Interminati spazi di là da quella”. Perché ci sia sempre più dolce il naufragio nel Mondo e nella Terra e nelle nostre Montagne.
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