Austerità. Renzi chiede alla Merkel il consenso a lasciare moderatamente salire il nostro rapporto deficit-Pil. Se scendesse, il presidente del Consiglio non riuscirebbe a mantenere le promesse di rilancio della politica economica. La risposta è moderatamente ironica: fate un po’ voi. Senza estremistiche ironie: sì, tocca proprio a noi, non alla Merkel. E semmai toccherà all’Europa muovere obiezioni, esercitare controlli, dire la sua.
Però va così. Siamo talmente impressionati dai tedeschi, che ci rivolgiamo a loro per sentirci dire che sono impressionati dai nostri intenti. Capitò a Prodi, Monti, Letta. Non a Berlusconi. A lui bastò altro per ottenere quel verdetto. Detto ciò, va ricordato che l’essere severi, limitativi, rigidi merita declinazioni diverse: obbedire a un codice di risparmio pubblico, certo che sì (1). Però anche mandare al Parlamento europeo onorevoli preparati, seri, conoscitori degl’interessi comunitari, certo che sì (2). Bisognerà ricordarsene, il 25 maggio, quando sceglieremo i candidati a Bruxelles e Strasburgo: d’incompetenti, e non per colpa della Merkel né d’alcun suo collega premier, ne abbiamo inviati un mucchio, negli anni passati. Se circolano euroscetticismi e antieuropeismi, si deve alla loro incapacità.
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Austerità. Il nuovo ministro per la Pubblica amministrazione e la Semplificazione spiega le sue idee, i suoi progetti, il suo percorso. Racconta di scelte politiche attentamente meditate, di priorità oggetto di lunga riflessione, di strategia adatta a riportare il Paese nel solco giusto, recuperando senso della misura, senso delle istituzioni, senso del risparmio. Nulla da eccepire, se non il fatto che tanto rigore Marianna Madia avrebbe potuto metterlo al servizio di se stessa, prima che degl’italiani. Come? Rinunziando all’incarico, dato che era all’ottavo mese di gravidanza. E idee, progetti, percorso – oltre che meditazioni, priorità e riflessione – dovevano rispondere al richiamo della famiglia, invece che dello Stato. Lo Stato avrebbe capito. La famiglia capirà? La sua, di sicuro. Le altre, di meno. Specialmente leggendo la risposta della Madia alla domanda sulla possibile inopportunità della nomina: “So di essere in un momento di maggiore debolezza fisica. Ma fa parte dei rischi che si è assunto questo governo: se metti in gioco dei trentenni, può capitare che ci sia pure una donna incinta. Se avessimo continuato come sempre a nominare dei sessantenni, il tema non si sarebbe posto”. Invece si pone, purtroppo.
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Austerità. Walter Veltroni ha girato il film “Quando c’era Berlinguer”, trent’anni dopo la tragica scomparsa del segretario comunista, morto al termine d’un comizio a Padova. Non ne propone un ritratto malinconico e romantico, come spesso succede ingigantendo le figure del passato e lacrimandovi sopra. Si affida al realismo, e l’effetto funziona. Cioè: Berlinguer appare com’era in verità, senza concessioni alla fantasia. Un uomo che pretendeva il massimo da sé, e non il minimo dagli altri. Un onesto, un leale, un coerente. Stava dentro un affollatissimo coro – il Pci arrivò a conquistare il 34 per cento dei voti degl’italiani – e tuttavia non indulse a comodi ammiccamenti, convenienze di bottega, compromessi al ribasso. Ne stipulò uno al rialzo, con la Democrazia Cristiana. Se non fosse stato assassinato Moro, il Pci avrebbe dato suoi ministri al governo della Repubblica. Una sera Berlinguer fu anche a Varese, nel palasport di Masnago stipato come per le partite dell’Ignis Valanga Gialloblù che stravinceva in Italia e in Europa. Sul palco tenne sempre la voce bassa e disse cose alte. Obiettivamente alte. Anche chi non s’azzardò ad applaudirlo plasticamente, lo fece interiormente.
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Austerità. La formula uno sceglie d’abbandonare il mitico ruggito, basta col rombo leggendario, i tempi sono maturi per ridurre lo spreco di decibel. Nel primo gran premio della stagione, in Australia, s’è ascoltato poco più che un ronzio. Si alza la tecnologia, scende il rumore: è il risultato del passaggio ai motori a sei cilindri, con gas di scarico usati per alimentare batterie che forniscono energia elettrica. La potenza non cambia, o cambia poco; il fascino cambia, e cambia molto.
Dovrebbe prevalere una razionale soddisfazione, invece su di essa fa aggio un diffuso rimpianto. Siamo istintivamente retrò, ci affezioniamo ai simboli, e figuriamoci se ad esprimerli è il suono. Poi, che suono. Esiste perfino un CD con i “sound” registrati sul circuito di Fiorano dalle “rosse” di diverse epoche, e sul web si gareggia a scoprire qual è la monoposto di cui si sta ascoltando la voce. A proposito di voce: cantanti, musicisti, direttori d’orchestra scrivevano a Enzo Ferrari per testimoniargli l’emozione suscitatagli dalle note (proprio così: dalle note) delle sue macchine lanciate in pista. Lui rispondeva: avete ragione, mi pare di assistere a un concerto. Non vi assisteremo più, e bisogna pur confessare che ogni tanto la provvida modernità fa colpevolmente rimpiangere l’antica sregolatezza. Altro che tanto rumore per nulla.
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