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Incontri

LA RADICE DEL MALE

GUIDO BONOLDI - 14/03/2014

Nel 1961 Hannah Arendt, filosofa ebrea di nazionalità tedesca, che era emigrata negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste, viene inviata a Gerusalemme dalla rivista New Yorker per seguire il processo Eichmann. Adolf Eichmann era stato un alto ufficiale delle SS, che aveva diretto la deportazione di migliaia di ebrei dalle nazioni dell’Europa orientale nei campi di sterminio e che, dopo essere stato catturato dai servizi segreti israeliani in Argentina, era stato estradato in Israele per essere processato.

Un recente film della regista tedesca Margarethe von Trotta ha riportato alla ribalta la partecipazione della Arendt al processo ed i giudizi assolutamente originali da lei espressi su quella vicenda, giudizi che tanto scalpore e tante reazioni avverse avevano a suo tempo suscitato.

Il film mette in luce con maestria ed efficacia la posizione umana di Hannah Arendt, che assiste al processo in cui era imputato l’ex ufficiale nazista, con il desiderio di comprendere chi fosse Adolf Eichmann e che cosa lo avesse spinto a partecipare allo sterminio degli ebrei, arrivando alla seguente conclusione: la radice del male in Eichmann è stata la  rinuncia a se stesso e alla sua capacità di giudizio e la consegna di sè al potere nazista e alla sua ideologia.

Una delle scene più intense del film è quella in cui Hannah Arendt, dopo tutte le critiche ed anche le minacce di cui era stata fatta oggetto, decide di dedicare una delle sue lezioni universitarie per chiarire ai suoi studenti il suo pensiero: di quel discorso appassionato riporto di seguito alcuni stralci, anche per l’attualità di tali giudizi, in una società come la nostra in cui nuove ideologie si impongono in modo più subdolo, ma non meno pervasivo.

“Il problema che si è posto con un delinquente nazista come Eichmann, è stato quello che, avendo egli rinnegato se stesso come persona, era come se non fosse rimasto nessuno da punire o da perdonare. Di fronte alle accuse del pubblico ministero egli ha più volte affermato di non aver mai fatto nulla di propria iniziativa e di non aver avuto nessuna intenzione, nè buona né cattiva, ma di aver solo eseguito degli ordini. Questa tipica giustificazione nazista, ci fa capire, che il peggior male nel mondo è il male che è compiuto da nessuno. Il male compiuto da uomini senza nessun motivo, senza convinzione, senza un temperamento malvagio o una volontà demoniaca, da esseri umani che si rifiutano di essere persone, è questo il fenomeno che ho definito come “banalità del male”.

Io non ho preso le difese di Eichmann, ho solo ricercato una corrispondenza tra la scioccante modestia dell’uomo e le sue spaventose azioni. Capire non è lo stesso che perdonare, ritengo che sia una mia responsabilità cercare di capire. E’ un dovere ed un compito per chiunque tenti di scrivere qualche cosa su un tema del genere.

Da Socrate e Platone in poi, definiamo come “pensiero” il silenzioso dialogo che avviene all’interno dell’io. Essendosi rifiutato di essere persona, Eichmann ha rinunciato alla capacità fondamentale che caratterizza un uomo, e cioè la capacità di pensare da sè. Ed in seguito a ciò non è stato più in grado di esprimere giudizi morali. Questa incapacità di pensare, ha rappresentato la condizione preliminare affinché  molti uomini del tutto comuni, compissero i misfatti più terribili in proporzioni tali, che non si erano mai viste prima di allora. Mai prima di allora.

E’ vero, io ho considerato queste domande secondo un approccio filosofico. L’utilità ed il vantaggio che si trae dal  “vento del pensiero”, non è la conoscenza, ma la possibilità di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso. Ed io spero che in futuro la capacità di pensare dia agli uomini la forza di evitare una possibile catastrofe, anche quando sembra che tutto sia perduto.”

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