Nei giorni scorsi Beppe Grillo ha prima agitato l’ipotesi secessionista e, poi, è passato a farsi fautore del federalismo sposando l’idea di un’Italia divisa in macroregioni, un cavallo di battaglia della Lega, anzi, del professor Gianfranco Miglio perché la Lega il federalismo vero non sa neppure dove abiti. E veniamo a Grillo il cui guaio non è tanto nel fatto che non conosca la storia, sennonché un po’ se l’è letta (se non lui Casaleggio…) perché nelle sue parole, che molti commentatori hanno frettolosamente liquidato come vaneggiamenti, abbiamo risentito qualche antica eco: «… oggi accorpare le regioni in cinque macroregioni omogenee può migliorare il loro funzionamento e diminuire i costi e gli sprechi […] Un’Italia federale può mantenere comunque poteri centrali come gli Esteri e la Difesa […] Decentrare può servire a disinnescare spinte di disgregazione dello Stato che sono già in atto».
Sarà una mera coincidenza ma state a sentire che cosa fu detto nel corso dei lavori che animarono quel Patto di Roma del 13 maggio 1890 in cui confluirono per la prima volta in un solo blocco radicali, repubblicani e socialisti: «Al potere centrale bisogna mantenere solo quanto intimamente si lega alla compagine dello Stato, unità politica e giudiziaria, esercito e armata, grandi opere pubbliche, scambi internazionali, eccetera […] Giacché la tutela accentratrice, eccessiva del governo è una vera, assoluta paralisi della vita generale».
Insomma sia nel 1890, sia nel 2014 la politica italiana non ha saputo trovare nulla di meglio che rispolverare il vecchio programma di Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari, come dire che il nostro Paese è fermo oggi esattamente dov’era centoventiquattro anni fa! In proposito il direttore di RMF si è domandato, provocatoriamente s’intende, se l’Italia non stesse meglio nell’Ottocento e anche prima. Bene, per iniziare a farcene un’idea e poter così rispondere alla sua domanda, dobbiamo partire dalla conta degli Stati in cui era suddivisa l’Italia nel 1796: Regno di Sardegna, Repubblica di Venezia, Repubblica di Genova, Granducato di Toscana, Stato della Chiesa, Regno delle due Sicilie, Principato vescovile di Trento, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Repubblica di Lucca, Repubblica di San Marino. A questo punto, però, la risposta diviene talmente scontata che non siamo neppure certi che valga la pena esplicitarla: «No!».
Se in un mondo di pace (armata), in un’Europa Comunitaria bottegaia e priva di centralismo politico ed economico, contiamo poco come Stato unitario, figuriamoci che cosa conteremmo se l’Italia fosse suddivisa in undici Stati come nel 1796 o in cinque macroregioni come vorrebbe oggi Grillo! Peraltro, per realizzare il federalismo che comunque non ci spaventa, non bisogna abolire una Camera, come pare voglia fare il governo in carica, ma modificare le incombenze di entrambe, sul modello statunitense in cui il bicameralismo ha la funzione di tutelare sia gli interessi dei singoli Stati per il tramite di una camera alta, sia quelli generali della nazione tramite una camera bassa. Applicando, dunque, anche da noi il bicameralismo all’americana dove una Camera tutela gli interessi delle Regioni e l’altra quelli della Nazione, ci ritroveremmo già bella e scodellata l’Italia federalista così come vagheggiata da Carlo Cattaneo.
V’è soltanto un piccolo dettaglio da considerare: per ridisegnare uno Stato deve esistere uno Stato degno di tale nome, altrimenti si va a operare sul nulla e tali operazioni, in genere, danno il “niente” come risultato. A distanza di 153 anni dall’Unità forse siamo diventati maturi abbastanza per rispondere, invece, a un’altra domanda: «L’Unità d’Italia si poteva farla soltanto con Cavour oppure anche con Carlo Cattaneo?».
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