Spruzzare di rosa le liste elettorali non basta a garantire pari opportunità. La richiesta bipartisan delle parlamentari per l’introduzione dell’alternanza di genere nelle liste di candidati dei collegi plurinominali dell’Ialicum va infatti ben oltre una questione numerica. E’ un problema culturale ed esprime la fatica nel garantire a donne e uomini medesime opportunità di accesso ai ruoli istituzionali.
Di per sé dovrebbe essere ”naturale” sentire che un’ equa presenza dei due generi nelle sedi parlamentari equivarrebbe a riconoscere la parità rappresentativa come valore collettivo, rispettando la composizione della popolazione ed assicurando, negli ambiti decisionali, pari peso a sensibilità differenti, ugualmente necessarie.
Ma questo passaggio naturale non è. Ricorrere a una norma di legge diventa perciò indispensabile. Con l’Italicum verranno infatti eletti per ogni collegio al massimo i primi due o tre candidati e se tali nominativi saranno prevalentemente maschili le pari opportunità sono negate sul nascere.
Quella dei giorni scorsi è diventata d’altronde una battaglia a causa dei freni e degli ostacoli posti da chi vede l’aumento di donne in Parlamento come una potenziale diminuzione delle possibilità offerte a se stesso. Ci sono fortunatamente luoghi della politica dove le pari opportunità non sono un optional: qualche partito, nel proprio DNA costitutivo e statutario, prevede già da anni l’alternanza di genere nelle liste, scegliendola come stile. Qualche altro ha comunque sempre reso possibile con percorsi decisionali interni un significativo equilibrio rappresentativo. In altri casi invece si mostra con tutta evidenza un’ idea della attività politica di esclusiva o prevalente “competenza” maschile.
Non meravigliamoci pertanto se diventa un passaggio obbligato quello di trovare forme organizzative trasversali tra le forze politiche presenti in parlamento e chiedere di regolamentare la parità di genere. Significa che non ci si è arrivati da soli, per moto naturale, per cultura, per attenzione, per disponibilità.
Le mistificazioni circa il fatto che “il merito non ha sesso” lasciano del resto il tempo che trovano e diventano facili appigli mediatici e di comunicazione spicciola, persino demagogica: lasciamoli alle pitonesse (quelle originali) o a certi squali che temono di vedere ridimensionato il proprio ruolo.
Così come prendiamo le distanze da tutte le dietrologie che hanno interpretato in questi giorni la richiesta delle “donne in bianco” nella seduta parlamentare di lunedì scorso come il tentativo di insidiare gli accordi per portare a compimento la riforma della legge elettorale. La battaglia, che tra l’altro non è solo femminile, è condivisa proprio perché è anzitutto una battaglia culturale e diventa segno distintivo della civiltà di un paese.
E’ indiscusso infatti che a livello politico si concretizza la stessa diseguaglianza tra i generi che esiste a livello sociale e lavorativo in termini di retribuzioni e di posizioni apicali ricoperte. Ed è quello che una politica a servizio dei cittadini dovrebbe, in forma assolutamente esemplare, rimuovere anzitutto al proprio interno. Ci sono invece nel nostro Paese le tristi realtà di consigli regionali con percentuali di rappresentanza femminile irrisorie o situazioni di amministrazioni locali dove le donne sono scelte solo per rispondere ad “obblighi” normativi.
Il nascondimento del voto segreto ha detto intanto ancora una volta quanta strada ci sia da fare perché l’”homo italicus” perda il gusto di una virilità che, non si sa perché, dovrebbe coincidere anche con una presunta superiorità organizzativa, amministrativa, decisionale.
Non andiamo del resto molto lontano perché a Varese l’unica donna presente in giunta è stata nominata assessore solo dopo avere constatato che la scelta di un esecutivo totalmente maschile non rispettava la normativa vigente. Ricordiamo tutti le cronache giornalistiche di metà giungo di tre anni fa, che riportavano le accese discussioni all’interno dei partiti di maggioranza per decidere chi avrebbe dovuto sacrificare un uomo sull’altare delle “quote rosa”. Ma lo stesso dicasi per la presenza nei consigli di amministrazione delle municipalizzate del Comune capoluogo: le dita di una mano sono più che sufficienti a contare la presenza femminile.
You must be logged in to post a comment Login