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Cultura

COLORE E RELIGIOSITÀ

SERGIO REDAELLI - 07/03/2014

Il progetto del crocefisso per Sant’Arialdo a Velate

“Non è necessario capire, l’arte si ama o non si ama”. Lo dice Giorgio Vicentini, 63 anni, pittore indunese che vive e lavora in una bella casa d’inizio secolo con la moglie Marta e i tre figli Luca, Viola e Pietro. La casa è addossata alle prime alture del Campo dei Fiori, il cui confine è segnato con un’alzata di sasso, L’atelier è appollaiato in giardino. È un locale di tre metri per nove di legno e pietra a vetrate ricavato da una serra (“O forse da un pollaio”, sorride lui). Un romantico studio d’artista. I tubetti di colore, spremuti, sono conservati nel vecchio frigorifero come se contenessero maionese, tele dappertutto, quadri, incisioni e biciclette da corsa, la sua passione: “È piccolo ma c’è tutto ciò che mi serve – spiega –. Paul Klee aveva ancora meno spazio a disposizione, lavorava sul pianoforte della moglie quando lei non suonava”.
È impossibile citare l’intero curriculum di Vicentini, basti dire che sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero e che ha esposto un po’ dappertutto, dai Magazzini del Sale di Venezia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (dove insegna), dalla basilica di San Vittore di Varese al Parlamento europeo di Strasburgo, dal chiostro di Voltorre e dai musei civici di Villa Mirabello alle gallerie di Pesaro, Roma, Lugano, Grenoble, Verona, Cremona, Bergamo, Genova, Romans sur Isére in Francia ecc.
“Io sono lo schiavo del colore, lavoro per lui e il colore attraverso di me si esprime”, spiega ai visitatori della mostra allestita a Villa Morotti di Daverio intitolata “Colore crudo”. Sacro e profano si mischiano: Vicentini è autore del crocefisso nella cappella di Sant’Arialdo a Velate e del marchio del Parco del Campo dei Fiori.
Nel 2009 ha esposto al museo diocesano di Milano, un’opportunità per un artista contemporaneo. Vicentini ne è consapevole: “È una fortuna avere la possibilità di dimostrare che un artista ha un’anima pur muovendosi tra mercanti, studiosi e critici d’arte. Se il museo diocesano ti chiama riconosce che dentro di te c’è il senso della trascendenza, che la tua ispirazione è mistica. Qui ci sono dei Bellini, dei Mantegna, pittori della storia che ti fanno impazzire di gelosia e un contemporaneo può misurarsi con loro in un attimo di contemplazione. Mi piace giocare, parlare, ridere con i figli ma quando sono solo e lavoro divento un monaco, la pittura è arte sacra e quando dipingo sono severo, concentrato, spirituale. Spesso accosto tra loro due tele, come pale d’altare: è come accostare la luce e il buio, sono una cosa unica”.
Vicentini riceve nella biblioteca di Induno Olona la folta pattuglia dei partecipanti alla rassegna “Metti in circolo il pittore”, promossa in paese come nel resto del Varesotto e dell’Italia per sottolineare l’assurdo ridimensionamento dei programmi scolastici d’arte. Poi guida la strana “scolaresca” nel suo studio in fondo al paese seguendo le indicazioni che egli stesso ha segnato per strada come un percorso ispirato alla favola di Pollicino e si racconta: “I grandi coloristi del passato, Tiziano, Tintoretto, Giorgione hanno lasciato la loro enorme eredità ma il mondo va avanti. Io lavoro con nuovi materiali e sperimento nuove varietà di colore che ottengo miscelandoli tra loro. Sono uno spirito inquieto, un indomito alfiere della sperimentazione e il disegno è importante quanto il colore”.
“Il rapporto con Dio, con la fede? La trascendenza è inspiegabile e nei miei colori esprimo l’inspiegabilità, il dolore, la mancanza di certezze nell’uomo. Chi guarda non deve cercare di dare un significato all’arte secondo i propri criteri di comprensione, deve disporsi a ricevere un’emozione. Amo l’essenzialità. Giacometti è stato un inarrivabile maestro della ricerca dell’essenziale. La sua parola d’ordine era togliere, togliere, togliere e io credo nello stesso principio. La croce è fonte d’ispirazione. Ne dipinsi una per la mostra organizzata da Marco Nardini nella Galleria Mies a Modena durante il festival di filosofia, è una croce su tela piccola 80×80 che nasce ai quattro punti cardinali, mistica, dolorosa, una croce arteriosa che evoca un silenzio profondo. Un’altra in acrilico su polifoil 100×70 appartiene a una collezione privata e la considero un’icona rivoluzionaria”.

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