Il brindisi con Alfonso e i sui familiari è stato, nel passaggio dal 2003 al 2004, uno dei fine ed inizio d’anno più belli della mia vita. Sto assistendo da un paio di mesi un paziente terminale, Alfonso, affetto da cancro al polmone con metastasi ossee, cutanee e cerebrali. Alfonso era un provetto muratore arrivato a Laveno dal Veneto nel dopoguerra perché là non c’era lavoro e a Laveno assumevano operai. Aveva tirato su bene una famiglia di quattro figli e si era anche costruito una bella casetta ai margini del paese. Lo curavo da quando ero arrivato a Laveno dal ’77. Assai più tardi, per una accidentale polmonite, venne scoperto un tumore al polmone.
Era un paziente molto bravo. Una persona onesta. Un gran lavoratore. Aveva una grande fiducia nel medico, si fidava veramente di me e questo mi facilitava molto il compito di curarlo ed assisterlo per i vari disturbi della vecchiaia. La sua cura per la neoplasia inarrestabile richiedeva una terapia molto impegnativa. Usavo dosi elevate di morfina somministrata molto lentamente in vena, devo riconoscere con ottimi risultati, dato che egli non lamentava dolori. Anzi, nei momenti di veglia era anche di buon umore.
A mezzanotte meno un quarto del 31 dicembre mi chiamò sul cellulare (non lo tengo mai spento) la figlia per la sostituzione della flebo, lasciai la compagnia di Alma, di Cristina e dei suoi amici ospitati nel salone di casa con i quali stavo consumando il cenone dell’ultimo dell’anno e mi recai a casa di Alfonso. Esegui tutto quello che dovevo fare per bene, ma siccome Alfonso si era risvegliato un po’ per il cessare dell’effetto della morfina, e i parenti erano tutti piangenti e disperati – la moglie con tutti i quattro figli, nuore e generi, e vari nipoti – e stava per avvicinarsi la mezzanotte, allora suggerii che si poteva comunque fare un brindisi di buon 2004 con il papà. Era un gesto, insieme, di condivisione del dolore di amore per la vita: finché manteneva quel momento di lucidità, Alfonso lo meritava (sarebbe poi morto dopo alcune ore, ormai i parametri erano pessimi, e credo che stesse proprio spegnendosi).
Venne aperta una bottiglia di Champagne, mi feci dare un bicchiere, lo riempii e glielo porsi. Alfonso accettò volentieri: strinse nella mano il bicchiere assieme a me e ci scambiammo gli auguri. Io, lui, tutti i suoi familiari nella commozione e nella gioia di un momento spiritualmente straordinario, che ci fece sentire partecipi di un evento speciale e che – se così si può affermare – venne incorniciato dal sorriso di quell’uomo che aveva tanto e silenziosamente sofferto.
Ebbi la dimostrazione, o per meglio dire la conferma, di quanto il patimento si possa trasformare in qualcosa di molto diverso. Alfonso ci trasmise la sua fiducia versi noi, verso il domani, verso l’orizzonte più alto e sfumato dell’esistenza.
Tornato a casa, ripetei il brindisi con Alma e con tutti i nostri cari. Volli metterli a parte dell’emozione che mi aveva preso e che aveva segnato quell’imprevisto transito da un anno all’altro. Ringraziai il Signore per avermi scelto come testimone privilegiato di ciò che vi ho voluto raccontare, a dimostrazione della imperscrutabilità dei percorsi della fede.
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