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Universitas

ASCOLTARE IL MONDO

SERGIO BALBI - 07/03/2014

“Asparizione”, foto di Leonardo Genovese

Le chiamiamo coincidenze; le chiamiamo occasioni, giochi del caso. Ma è solamente qualche cosa che ha a che fare con l’ascoltare quello che avviene nell’ambiente che abitiamo. La nostra vita è non solo produrre azioni ma ascoltare il mondo. E spesso questo ascolto rasenta l’inconoscibile, ma è realtà. Possiamo esserne preda, strumenti, ma estrarre esperienza, cose da sapere è la missione di ogni giorno che ci vede svegli: e questa volta parlo (conviene forse poco ad un giornale) di assenze – ma in questo seguo la linea arguta del nostro direttore nel suo editoriale del 14 febbraio – dopo il lutto che ha colpito una delle voci più attive di questo giornale (per quel che vale la mia preghiera, sappia che questa accompagna l’assenza con la quale ora vive).

Nelle due ultime settimane ho raccolto assenze, segni lasciati in un mondo che vogliamo sempre esigere colmo di presenze o presenzialismi, addestrati alla disciplina degli appuntamenti, del “non puoi mancare!”. Ma l’assenza punteggia la nostra quotidianità (quale più forte assenza esiste di un amore quando scompare?). Questa parola contiene la distanza dal sentire, non dall’essere, ma dal sentire, perché esseri lo siamo sempre, finché vivi nel comunicare coi sensi, anche in coma abbiamo relazioni, lo prova la scienza, ma uomini (esseri senzienti, che vogliono relazione, qualunque sia la loro condizione) a volte ci rifiutiamo di crederlo. E allora ogni giorno accadono cose: come la rubrica di questo giornale “Pensieri impensati”: chi di noi non ha… pensato, almeno per pochi minuti, ad un errore, un’omissione dell’articolo che certo avrebbe deluso l’autore, vista l’assenza delle sue parole, una pagina bianca; ma il titolo, svelato il gioco, ci ha chiamato all’assenza (e quindi all’essenza!) di tante parole, per costringerci all’obbligo di dare peso a quel poco (finalmente!) che ci veniva concesso. Non credo che esistano insegnamenti così convincenti per obbligarci a riflettere sull’assenza delle parole, e quindi per cogliere la potenza reale di ognuna di loro!

Ancora assenza, ma quanta vita, quanta potenza dentro una pagina bianca! Esserci nel mancare, asparizioni, direbbe Giorgio Caproni, con la sua poesia rarefatta. E ancora: mi sono trovato, come medico, a dar conto ad un marito del destino irreversibile, senza speranza, della moglie; parlare con lui ed ascoltare la loro storia mi ha portato con violenza ancora alla parola assenza; assenza ormai prossima di una vita di amore, ma paradossalmente, presenza di una vita, di una testimonianza, che, a dispetto degli anni, è dedicata a raccontare la crudeltà umana che ha avuto la sua reale, contro ogni deriva negazionista, concretizzazione nei campi di sterminio nazisti. Quest’uomo spende i suoi novant’anni a narrare l’orrore, come la morte di un uomo polacco fra le sue braccia, e tutto il resto che ha visto e vissuto, ed è presente tra noi con instancabili parole spese a realizzare, rendere concreta un’esperienza che le intemperie del tempo o la stanchezza umana limano come pioggia battente, nonostante il suo mondo e il suo amore scompaiano dal dialogo umano, un’esperienza in cui l’obiettivo primario era l’assenza dell’uomo in un corpo ridotto a nulla. Testimone incrollabile quest’uomo che testimonia in controcanto ad una retorica “buona”, in certo senso positiva, del creare barricate che tutelino d’ora in poi l’assenza del male dalla nostra storia, l’assenza dettata dal “Mai più”, fino all’afasia sbagliata dell’assenza, quella fatta di frasi come “la poesia non ha più senso dopo Auschwitz”, con il suo trasporto al ripensamento di un nuovo orizzonte, un nuovo solco che sia un punto zero, un nuovo uomo ma che si arrende alla violenza accaduta e non vuole più raccontare.

Cosa ha a che fare tutto questo dire con il titolo di questa rubrica? Proviamo a dare a tutti i nostri giovani il senso profondo e unico dell’esperienza che ogni uomo dice con le sue parole o i suoi silenzi. E ogni settimana avranno milioni di cose da raccontare, perché (non) sono accadute, (non) ci sono state, (non) ci sono nella memoria o nella conoscenza. Solo così l’assenza riscatta la sua condanna e risorge. La nostra vita contiene il miracolo della presenza anche quando è assente. Sono tutte storie di Varese, narrate o accadute da e a varesini in questi giorni, a prova che anche quando qualcuno lamenta che a Varese “non succede mai nulla”, anche l’assenza c’è e ha molto da dire.

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