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Politica

CONFLITTI E UNITÀ

LIVIO GHIRINGHELLI - 07/03/2014

L’esito delle elezioni svoltesi a fine febbraio 2013 ci ha consegnato a sorpresa un Parlamento diviso in tre blocchi di dimensioni sostanzialmente analoghe. Fallito il mandato esplorativo affidato a Bersani, apertasi una pericolosa crisi, che ha indotto i principali partiti a riaffidarsi a Napolitano per evitare il crollo del sistema, ha fatto seguito la costituzione di un governo cosiddetto delle larghe intese (governo Letta) che, verificatasi la scissione Alfano nell’ambito del centro-destra, è andato sempre più perdendo quanto a incisività e capacità di affrontare i gravi problemi del lavoro, della disoccupazione dilagante e delle riforme.

Siamo ora al governo Renzi, con tutte le incognite che esso comporta per la fragilità di alcune componenti, la difficoltà del contenimento della spesa pubblica per risanare il bilancio e per potere disporre di adeguate possibilità di investimento.

È chiaro comunque che la crisi non fa che rispecchiare quella dell’intera società e dei suoi valori falsati da relativismo, individualismo, ben scarsa sensibilità alle esigenze del bene comune tanto sbandierato. C’è uno scollamento siderale tra politica e società con il crollo di fiducia da parte dei cittadini. Non aiutano a risalire la china personalizzazione e spettacolarizzazione, né basta chiamare in causa una generazione per il solo fatto che sia nuova. Quello che va mutato è lo stile di vita, l’atteggiamento verso il prossimo, la disponibilità a una speranza, senza ripiegamenti su uno scetticismo di comodo.

L’Evangelii gaudium affaccia un monito fondamentale: “La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare una organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse, mentre gli altri sopravvivono come possono. Le rivendicazioni sociali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale dei poveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni, che non vogliono rinunciare ai loro privilegi; quando questi valori vengono colpiti , è necessaria una voce profetica” (n. 218).

La pace sorge come frutto dello sviluppo integrale di tutti. “L’essere fedele cittadino è una virtù e la partecipazione alla vita politica è un’obbligazione morale” nell’ottica di una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia (n. 220). Le differenze vanno composte all’interno di un progetto comune. “I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae. Il tempo è superiore allo spazio” (n. 222).

Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi… Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società” (n. 223). Più che preoccuparci d’ottenere risultati immediati, che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, bisogna puntare a raggiungere quella pienezza dell’esistenza umana che si accordi con il carattere peculiare e le possibilità di un’epoca.

L’unità deve prevalere sul conflitto. “Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro , ma alla risoluzione su un piano superiore, che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (n. 228) e il primo ambito in cui siamo chiamati a conquistare la pacificazione nelle differenze è la propria interiorità. Se “esiste una tensione bipolare tra l’idea e la realtà”, se tra le due si deve instaurare un dialogo costante, un terzo principio da postulare è che la realtà è più importante e superiore all’idea. “L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci” (n.232).

Così tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione, ma come non si deve cadere in una meschinità quotidiana, così non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra, senza essere ossessionati da questioni limitate e particolari. Il tutto è superiore alla parte.

Sono tutti incitamenti, specie per i cattolici, a non rinchiudersi nella stabilizzazione dei giochi di potere, a rifuggire dal populismo, dal minare metodicamente il sistema senza proposte costruttive, come dalla logica divisiva delle correnti. Soprattutto va superata la cultura dell’interesse individuale, egoistico e di quelli di casta, per abbracciare l’ambito di un dinamismo responsabile e partecipato.

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