Che Natale sarà? Di sacrificio, nessun dubbio. Sacrificio nel senso etimologico della parola: privarsi di qualcosa. Ci stiamo privando altro che di qualcosa, e di molto ci priveremo ancora. Onorando la giustizia, sopportando l’ingiustizia: c’è chi non darà come deve, pur non avendo fin qui dato come avrebbe potuto. E chi dovrà dare ancora, pur avendo già dato a sufficienza. Con rettitudine e puntualità. C’è un diritto all’eguaglianza, naturalmente, ma c’è anche un dovere alla coerenza: sperabilmente l’esemplificazione pratica del secondo indurrà all’esercizio del primo. Così vuole la provvidenzialità che informa lo spirito cristiano.
È per questo motivo che la manovra economico-finanziaria del governo Monti merita il rispetto degl’italiani. Nella criticità della situazione, e tenuto conto della maggioranza trasversale centrodestra-centrosinistra che regge l’esecutivo, era difficile inventarsi un pragmatismo meno traumatico.
Sul ciglio del baratro, la vera equità è consistita (consiste) nella salvezza del Paese. Gli attentatori alle tasche dei cittadini sono quelli che ci han portato a un passo dalla catastrofe, e che adesso speculano su affanni, povertà, miserie. Mentre al Paese è chiesto d’offrire il meglio che gli riesce, c’è chi propone il peggio che gli conviene: lo squallore etico è un abisso infinito, dalle parti italiane. Un abisso che ha eguali solo in quello rappresentato dalla mancanza di pudore, dalla scomparsa della vergogna, dall’affermazione della protervia.
Si dovrebbero scusare in tanti, per quanto sta succedendo. E invece non si scusa nessuno. Potevano dire: abbiamo sbagliato, e sbagliato di grosso, ma siamo qui per correggerci. Noi (noi classe politica) innanzitutto. E invece no. La colpa ha sempre diverse e lontane provenienze, le cause del dissesto sono prive di carta d’identità, il debito morale costituisce qualcosa di brutalmente sconosciuto. Morale, poi: guai a usare la parola (la parolaccia), fino a qualche tempo fa. Guai ai moralisti. Guai a questa gente d’accatto. Poi vien tolto il velo alle bugie, spunta la realtà dell’immenso buco finanziario e si scopre che la gente d’accatto è un intero Paese ridotto alla soglia dell’elemosina. Il Paese egemonizzato dai furbi che affossa quello diligente dei seri, e che sarà tirato fuori dal gorgo dalla tradizionale generosità dei seri e nonostante la miserabile resistenza dei furbi.
Questa, come sappiamo bene, è la verità. E forse, se c’è un bene nel gran male che ci colpisce, esso consiste proprio nella riscoperta d’una tale verità. Enzo Bianchi, il priore di Bose, ha scritto nei giorni scorsi un elogio della parresia: del dire tutto e chiaro. Della franchezza. Della sincerità. Volenti o nolenti, abbiamo dovuto fare ingresso nell’epoca della parresia: era l’unico modo per ricollocarci sulla strada del bene comunitario. Saputo finalmente come stavano le cose, si è cominciato ad adoperarsi perché in un futuro augurabilmente prossimo stiano in maniera diversa. Molto diversa. Era (è) l’ora di “…mettere ordine nel nostro universo mentale e comportamentale tra bisogni, desideri, voglie, sogni e capricci”. E quando arriva quest’ora, non ci si può sottrarre alla chiamata, pur nella certezza che la riscossione del credito che vantiamo verso una fallimentare nomenklatura necessiterà di tempi lunghi.
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