Gli sarà spiaciuto di non poter essere presente alla riunione tenutasi qualche mese addietro nella sede di RMF in viale Borri. Qui Gianni Asti avrebbe dovuto far compagnia a Gianni Corsolini – suo grande amico – nella presentazione di un libro di quest’ultimo. Soprattutto gli sarà spiaciuto di non poter essere in compagnia dei vecchi amici della Robur cui era stata dedicata la serata in parallelo alla presentazione del libro.
Erano in molti i suoi allievi insieme a dirigenti dell’epoca con quel Dante Trombetta che pochi giorni dopo doveva precederlo in quella che si è soliti chiamare miglior vita. Gianni non aveva potuto intervenire perché già allora – malfermo in salute – era ricoverato in ospedale senza riuscire, purtroppo, a evitare che la situazione peggiorasse sino al recente decesso. Così l’assenza non gli aveva consentito di rivivere i tempi meravigliosi della sua passione per il basket, del suo grande amore per la Robur la società essenziale per la sua vita sportiva.
Una rievocazione che è così mancata in uno dei suoi interpreti principali quello che aveva fatto di una squadretta di divisioni minori un delizioso – tecnicamente parlando – complesso della massima serie.
Aveva fatto di ragazzi inesperti e ai primi contatti con il basket dei campioni capaci di farsi valere nelle serie superiori e di fronteggiare, alla pari, di giocatori esperti e navigati senza mai sfigurare. Era un piccolo mago della panchina oltre che della preparazione mettendo sempre in campo quintetti addirittura piacevolissimi alla vista per qualità singole e gioco collettivo. Veniva tutto da lui: dalla sua preparazione in allenamento, alla capacità di affrontare ogni avversario con gli schemi più necessari e sempre azzeccati alla prontezza delle misure e delle contromisure necessarie dalla panchina in ogni incontro. Doti non sempre facili da ritrovare abbinate in un coach che non sempre dispone di una eccellenza tecnica nella preparazione e prontezza nella direzione a bordo del campo.
Avrebbe, certo, potuto permettersi di passare alla guida anche di formazioni di fama più rimarcata di quelle pure da lui allenate a Varese se la passione per la sua Robur non l’avesse sempre tenuto legato.
Dall’altra parte non trascurerà, certamente, il basket. Ricomporrà le file con quelli che l’hanno preceduto. E la maglia sarà sempre l’unica per tutti. E unica la scritta: Robur.
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