Due o tre cose ancora, e anche quattro, su questo Festival di Sanremo bisognerà dirle, prima di archiviare la pratica nel faldone dei ricordi e – si badi bene – non della nostalgia, sentimento intimo e nobile che, se abusato, cade nel patetismo. Del resto sessantaquattro edizioni sono pur sempre una bella storia, una bella età.
Per intanto: è stato, questo, un Festival di canzoni? Sì e no. Mario Luzzatto Fegiz, grande conoscitore e raccontatore della manifestazione, ha scritto sul Corriere della Sera – scusandosi per il bisticcio lessicale – che c’è stato il ritorno dei ritornelli, cioè delle melodie che entrano subito nella testa e nella memoria. Le stesse melodie che il mattino successivo alla chiusura del Festival un tempo fischiettava per le strade in bici il garzone del lattaio o del panettiere. Ma quella di oggi è un’altra Italia, fa notare anche Fegiz. Non solo non esistono più i garzoni, ma nemmeno le latterie e sempre più rare sono le panetterie.
La cantante Arisa, dunque, ha vinto il 64° Festival con “Controvento” (e Rocco Hunt con “Nu juono buono” ha vinto nel settore Nuove proposte). Arisa, al secolo Rosalba Pippa, è di Genova. Fatto che non può non avere vellicato il gusto retrò e autonomistico – almeno dal punto di vista dell’arte – del ligure savonese Fabio Fazio. Molto si è puntato in questa edizione sui richiami locali, compreso il continuo riferimento al più grande dei cantautori genovesi, Fabrizio De André, ben rappresentato al teatro Ariston dal figlio Cristiano. Ma Fabrizio, uomo sensibile, colto e mai polemico, fu in vita molto lontano dal Festival – magari anche per timidezza –, alla pari – tanto per citare due suoi illustri coequipier – di Guccini e di De Gregori.
Arisa, brava e simpatica, ha vinto e il favorito – almeno fino alle ultime battute – Francesco Renga, che però già s’era aggiudicato un Festival nel 2005 con “Angelo”, nemmeno è entrato nella terna delle canzoni finaliste. L’impressione – proprio Sanremo docet – è che si sia trattato ancora di una legge di compensazione. Per alcuni la causa è il “porcellum” sanremese, il mix tra televoto e consensi della “giuria di qualità”, la volontà di promuovere ai secondi e terzi posti Gualazzi e Rubino. Si vedrà il risultato del botteghino.
Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, i due presentatori, cui si dovrebbe aggiungere per omaggio alla bellezza, ma solo per quello, Laetitia Casta, quindici anni dopo la sua prima uscita al Festival sempre con Fazio. Il giudizio resta sospeso. Troppi i déjà vu, le situazioni che si sono rincorse. A cominciare dal caso in prima serata dei due operai (due assenteisti?) che, abbarbicati alle transenne del palco delle luci, si volevano lanciare in platea, costretti dalle difficoltà della vita. Era già accaduto nel 1995: un fisioterapista, il quale dichiarò poi che per la sua speciale perfomance era stato pagato venticinque milioni, minacciò di gettarsi dal loggione. Fu salvato da Pippo Baudo.
Ci sarà l’anno prossimo un Fazio tertius (che poi dovrebbe essere un Fazio Quintus…)? È improbabile, al momento, anche se Fazio non lo esclude: dovrà ponderare e valutare. Gli ascolti sono calati e il rischio che mamma Rai non può correre è quello della noia. Sanremo è Sanremo (anzi, San Romolo), si dice. Ma alta è la possibilità che si involva e che imploda. Per paradosso molto dipenderà dalla crisi, se si risolverà (proprio in pieno clima sanremese vi ha cominciato a lavorare Matteo I) o no. Nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento, quando il nostro Paese aveva altro cui pensare, la TV trasmetteva del festival soltanto la serata finale, e per il resto pazienza. Nessuno scese in piazza.
Gli ospiti, i comici. Ha chiuso, quest’anno tra gli applausi, per fortuna, Maurizio Crozza. Uno dei suoi più noti predecessori, Beppe Grillo, è oggi inopinatamente alle soglie dei sancta sanctorum politici. Noi italiani siano strani – ecco perché in fondo Sanremo è importante –: magari tra qualche anno andremo a votare potendo scegliere tra i “crozzini”.
Ritornando al discorso sulla nostalgia di cui si diceva all’inizio, pensiamo a Raffaella Carrà, la gioiosa Raffa di quando eravamo ragazzi. E anche a Claudia Cardinale. Bella nel ricordo, la ragazza con la valigia: la spiaggia deserta, Mina che canta una zebra a pois, la stazione di Rimini…
Roba degli inizi degli anni Sessanta. Più di mezzo secolo fa.
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