“A causa dell’uscita della fogna che ha creato una grande torbidità tra sospensione melmosa e fango, abbiamo potuto constatare che allo sbocco dello scarico era presente una quantità immensa di assorbenti da donna, sacchetti, vassoi, a cui si aggiungono due cestini della spazzatura di proprietà del Comune, carrozzine, biciclette. Inoltre l’acqua era veramente molto torbida con molta mucillaggine in sospensione che va poi a depositarsi sul fondale adiacente: e ce n’era così tanta che si faticava a vedere il compagno che ti nuotava a fianco”.
Letto così senza riferimenti geografici precisi questo brano sembra tratto da una delle tante relazioni redatte dalle ASL di siti costieri italiani (o spagnoli, o nordafricani da parte delle rispettive autorità competenti) allorché le fiumare, ingrossate da grandi piogge improvvise, trascinano in mare tutto quanto l’inciviltà e la maleducazione in perenne ascesa degli uomini ha abbandonato sulle loro sponde inaridite. Oppure pare la visione desolante che affiora nel cuore di Milano quando ogni anno dai Navigli viene prosciugata l’acqua per i periodi di asciutta degli storici canali cari a Leonardo da Vinci.
Invece niente di tutto questo perché il luogo dello scempio è altrove, fuori dai patri confini, nella patinata Lugano, in rivetta Tell, sullo splendido lungolago prima dell’entrata al curatissimo e fioritissimo parco Ciani, ben noto a legioni di insubrici e di milanesi in gita turistico finanziaria. Ne ha dato notizia, con grande rilievo, nei giorni scorsi la stampa ticinese che ha ripreso il rapporto redatto dall’Associazione sommozzatori Octopus Team Lugano incaricata dal Consorzio pulizia lago di effettuare immersioni per raccogliere documentazione fotografica nell’area del golfo antistante il citato parco Ciani.
Un vulnus all’immagine della città pure lei alle prese con un bilancio pieno di vistose falle dopo anni di incauta grandeur e di passi più lunghi della classica gamba. Fatto sta che il problema della depurazione delle acque, dopo i massicci investimenti degli anni ‘70/’80, causa la mancata separazione tra acque scure e acque chiare, in periodi di massicce e costanti precipitazioni, come è accaduto nei mesi scorsi, evidenzia l’insufficienza delle stazioni di pompaggio con inevitabili sfioramenti e sversamenti di liquami nel lago.
Più o meno la stessa situazione, su scala minore, che affligge Porto Ceresio e per questa ragione ogni anno censurata dalle autorità ticinesi. Al punto da indurre il collega Bruno Costantini a scrivere con acuta ironia sul Corriere del Ticino: “smettiamola di menarla tanto a quelli di Porto Ceresio, saran tutti frontalieri e padroncini ma in fatto di fogne non ci battono nemmeno loro”.
Comunque un episodio grave e spiacevole che merita almeno due considerazioni: la prima è che nella tutela delle acque bisogna continuare a investire per adeguare di continuo gli impianti al mutamento delle tecnologie e delle sostanze da trattare, non esistono quindi per nessuno allori su cui riposare. Nemmeno per gli svizzeri definiti molti anni fa da Giorgio Bocca “i più migliori” per via dei loro ricorrenti complessi di superiorità; la seconda è che in ogni caso le condizioni del Ceresio, nonostante i getti maleodoranti di Rivetta Tell, non sono neppure lontanamente paragonabili a quelle dei primi anni settanta quando, risalendo il lago da Porto Ceresio fino a Lugano, il battello solcava acque marroni sempre più morte alla vita.
Del resto erano gli stessi anni in cui il lago di Varese in agonia suggerì, sempre a Bocca, il memorabile attacco di una corrispondenza che scandalizzò Palazzo Estense e i ben pensanti dell’epoca: “Se Piacenza galleggia nella nebbia, Varese si specchia nella merda”.
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