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Apologie Paradossali

PAROLE E CROZZATE

COSTANTE PORTATADINO - 28/02/2014

Ancora una volta al bivio tra Parlamento e Sanremo, ancora una volta la questione è il linguaggio, ancora una volta mi sembra giusto dare maggior peso alle parole di Sanremo. Quelle di Renzi sono solo parole, ma è ovvio! Che cosa pretendevate, che venisse come re Mida a trasformare in oro le aule sorde e grigie? Riconosciamogli almeno il merito di aver detto una verità: il re è nudo. Se poi sarà capace di fare il re, lo vedremo e lo speriamo.

Pesano di più le parole di Crozza a Sanremo su Michelangelo e Giovanardi. Michelangelo e Giovanardi? Ma chi è Giovanardi? Che cosa ha fatto per essere sottoposto a ludibrio infamante mediante un tale paragone? È il difensore della famiglia tradizionale ed ignora che la Cappella Sistina è opera di un omosessuale come Michelangelo! Quindi…

Crozza lascia aperta la conclusione del sillogismo. Ognuno trae, magari senza nemmeno pensarci, la conclusione che vuole e il comico si libera di ogni responsabilità, anche quella del linguaggio politicamente corretto. Ha lasciato intuire quel che pensa anzi, quel che si deve pensare, ma non l’ha detto, quanto meno non l’ha detto con un insulto, penalmente perseguibile, ma con una insinuazione, per me anche peggiore. Il bersaglio non poteva essere Giovanardi, meschinello incapace di dipingere la Cappella Sistina, ma la famiglia tradizionale, che, come oggi soffocherebbe nel pregiudizio il talento di un Michelangelo – gay, così sarebbe un carcere per la libertà dell’individuo e la causa di tanti altri mali.

Sono amareggiato.

“È la satira, bellezza”, mi apostrofa Sebastiano Conformi.

Ma la satira dovrebbe soprattutto far ridere. Castigat ridendo mores. Qualcuno ha riso? “Suvvia, ma sono banalità, meno che canzonette”.

Ma proprio la banalità passa facilmente nella coscienza, non viene filtrata dall’intelligenza; come le polveri sottili s’infila dappertutto e se non fa danni ad uno o a cento o a mille, quando si tratta di milioni, proprio come l’inquinamento di particelle invisibili, fa danni enormi. Come ci si abitua alla banalità, così i drammi dei popoli e delle persone vengono banalizzati, ridotti a materia di spettacolo, quando conviene. O ignorati, se è questo che giova a qualcuno. La “rivoluzione” ucraina diventa spettacolo e muove i potenti del mondo (ma non scalfisce lo spettacolo – olimpiade), la gente in piazza in Venezuela e i massacri di cristiani nel nord della Nigeria sono confinati a livello di televideo.

“Ma è normale che sia così – mi redarguisce il mio amico Sebastiano Conformi – forse che i tuoi papi, quelli del Rinascimento, non hanno chiamato Michelangelo a rappresentare il Giudizio Universale nella Cappella Sistina proprio per spettacolarizzare la cosa più banale che ci sia, il peccato? Il loro guaio è stato che non ne sono stati più capaci, per secoli. Per meglio dire: hanno sbagliato linguaggio, sono andati avanti con i flabelli e la sedia gestatoria fino all’altro ieri e finivano nelle cronache solo per essere sbeffeggiati dai progressisti sulla pillola o sulla pedofilia. Adesso è arrivato Francesco, che riesce a parlare alla gente, fregandosene degli intellettuali…”.

Mi ha convinto, ha centrato il punto. Il significato è inscindibile dal mezzo di comunicazione. Se sbagli ad usare il mezzo, anche il contenuto viene distorto o si liquefa, fino a scomparire. Oggi persino Michelangelo rischia di non dire nulla alla gente, o dice una cosa bella, ma lontana, quasi di un altro universo. Che cosa possiamo fare noi meschinelli, gente come me, come Conformi, come Giovanardi?

Non farci banalizzare, restare fedeli alla centralità del bello, del vero e del buono (li scrivo apposta con la minuscola!) nella nostra vita quotidiana, credere alla possibilità di incontrare proprio nella banalità quotidiana qualcosa di questo genere, amabile e comunicabile.

Farne patrimonio comune. Farne linguaggio comune.

Senza curarci delle crozzate altrui.

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