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Attualità

IN AIUTO DEGLI SFRATTATI

MASSIMO CRESPI - 20/02/2014

Ma com’è che non ci abbiamo pensato prima? L’assessore per le nuove povertà della giunta municipale pare domandarsi questo, battendosi il palmo della mano sulla fronte sudaticcia. Lo osserviamo subitamente emergere dalla mole di richieste di case e alloggi impilate sulla sua corta scrivania: ha la faccia finalmente sorridente; l’abbiamo salvato dall’attacco spregiudicato dell’opinione pubblica, la quale chiede ci si muova molto più rapidamente nel contrastare la drammatica questione degli sfratti in città…

Potrebbe essere l’incipit di una bella storia, ma non è così. Infatti noi di Comunità Famigliare, promotori dell’iniziativa salva-sfrattati, restiamo fermi con una proposta tanto semplice quanto solida ancora tra le mani, in attesa che qualcheduno fra le teste pensanti dell’amministrazione cittadina di Busto Arsizio la riceva, facendola propria, almeno valutandola nella sua potenzialità applicativa, metodologica.

Semplicemente, noi della neonata associazione Comunità Famigliare, sostenuta da alcuni tra i vecchi fondatori della ben più nota Comunità giovanile bustocca, crediamo di dare risposta all’oramai quotidiana necessità di case per le persone sfrattate e in attesa di nuova sistemazione, che stanno per strada superando d’un salto le lungaggini burocratiche seguenti le numerose domande in tal senso, le tante pastoie che non consentono d’usufruire di residenze pubbliche sfitte, le enormi difficoltà a gestire tutti i nuclei famigliari bisognosi di alloggi.

In che modo? Presto detto. Dove non arriva l’assistenza comunale, dei servizi sociali che si fanno carico di chi vive svantaggiato l’abitare, dove non opera l’edilizia residenziale pubblica garantendo costi d’affitto o di mutuo convenzionati, dove non si muove nessuno che non debba avere qualcosa in cambio del proprio impegno nell’affrontare l’emergenza abitativa, può giungere la solidarietà gratuita del privato cittadino che non chiede nulla, cercando piuttosto di dare quel che riesce e può.

Comunità Famigliare scopre l’acqua calda mostrando tanti “cuori in mano” di cittadini che vivono nelle vicinanze degli sfrattati, li vedono, li sentono, vogliono aiutarli. “Se li interpellassimo tutti – diciamo quando ne parliamo – siamo convinti si troverebbero decine di privati cittadini disponibili a offrire sistemazioni temporanee per chi si trova senza tetto, senza averne colpa; a dicembre ne abbiamo ospitati due d’una famiglia di cinque componenti: due vecchi nonni invalidi, due nipoti ventenni disoccupati e un padre con un lavoro precario part-time. Hanno dovuto girare la provincia per un mese ed elemosinare l’ospitalità dentro bed and breakfast ed alberghi; il loro problema, sloggiati improvvisamente, era trovare soldi sufficienti per una nuova cauzione d’affitto, ma finché non li hanno recuperati sono stati forzatamente girovaghi in cinque città diverse, e sempre senza automobile… Avrebbero potuto risiedere presso dei privati in attesa della soluzione definitiva al loro problema, che era reperire mille euro, solamente mille euro per rientrare fra quattro mura della loro città, la città che amano”.

La nostra proposta, che definiamo di housing sociale gratuito, si delinea abbastanza facilmente. Primo: serve che sui territori comunali si mappino le disponibilità ad ospitare bisognosi in difficoltà d’ordine abitativo, programmando l’allertamento precoce presso le strutture ospitanti qualora questi si presentino. La mappatura suggerita s’intende perfezionata dalla tipologia degli alloggi proposti; se per esempio si trovano a piano terra, risultano adatti a persone anziane e invalide; se si trovano nelle zone servite da esercizi quali le poste, le farmacie e i negozi di alimentari, sono buoni per coloro che, numerosi, non possiedono mezzi di trasporto; se vi sono vicine le scuole materne, sono per i più piccoli, la biblioteca, gli impianti sportivi per i più grandi. In tal modo si possono indirizzare le famiglie prive di casa affinché si sistemino, si rinfranchino, provvisoriamente ma dignitosamente dentro fabbricati dedicati all’accoglienza; adattati alla disgrazia certo, tuttavia non progettati per la solitudine e l’indifferenza come quei caseggiati popolari dentro cui si confinano troppo spesso le persone disgraziate. E questi sfrattati riuscirebbero a ottenere conforto, vicinanza da parte di chi, i concittadini maggiormente sensibili, li vorrà con loro, presi “in affido” per spirito di civiltà prima ancora che di umanità.

Chi dovrebbe svolgere questo lavoro di mappatura? Non necessariamente l’Assessorato ai servizi sociali: si potrebbe collaborare, e quante realtà associative, la nostra compresa, sarebbero felici di farlo mettendo a frutto tutta l’esperienza posseduta per anni di volontariato passato nel servizio o l’assistenza al prossimo!

Secondo, ma non secondario: serve sapere chi sono gli sfrattati; veri bisognosi, veramente vittime della cattiva sorte? Entra nel gioco la gestione pubblica, gli Uffici competenti,la Pubblicasicurezza, a tutela della buona volontà di chi si dispone per una giusta causa nel tentativo di rimediare ad un male procurato soprattutto da chi decide le politiche quotidiane, senza perciò rischiare di divenire vittima lui stesso del sistema di governo del territorio che non governa, ma scarica le varie problematiche senza assumersi i propri peculiari impegni consegnati, ricordàti da chi si deve fidare delle loro competenze e capacità amministrative.

A tal riguardo occorre per ultimo prevedere dei budget minimi di bilancio quali rimborsi delle spese vive sostenute dagli ospitanti gli sfrattati, come il lavaggio delle lenzuola, delle federe e delle coperte utilizzate; e delle coperture assicurative per i possibili infortuni domestici, imprevisti, danni sui beni posseduti messi a disposizione e condivisi. Poche cose tutto sommato, poco da fare poiché per il grosso sarebbe la gente comune che parteciperebbe dell’emergenza assumendosi la responsabilità di un pronto soccorso casa, a cui far seguire l’efficacia della macchina pubblica a guidare l’opera di cura del bisogno, diagnosi, metodo risolutorio tramite l’housing sociale tradizionale che sia al passo con i tempi. Ci riferiamo a una politica residenziale nuova, modulata a misura delle nuove povertà, favorendo quelle fasce di popolazione il cui reddito non è così basso da richiedere una sistemazione dentro stabili popolari, però neanche così alto da competere sul mercato.

Ma questa è un’altra storia; noi ribadiamo l’idea che ciascuno deve essere messo nelle condizioni di abitare, sia che decida per l’affitto presso l’abitazione, sia che scelga d’acquistarla. In entrambi i casi, il canone o la rata del mutuo stipulato non dovrebbero mai superare un quarto del reddito lavorativo… Oggi molti, improvvisamente, non hanno più nemmeno reddito o reddito sufficiente per vivere. È necessario pensare prima a costoro. Noi proponiamo di intervenire subito, privatamente e per questi ultimi, in attesa la più breve possibile che l’organizzazione pubblica faccia ciò che deve e consegni case per un diritto fondamentale della persona: l’abitare con dignità. Ma com’è che non ci abbiamo pensato prima? Afferma l’assessore mentre ci strappa dalle mani il volantino con la bozza dell’idea che ci è venuta…

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