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Società

UN’EPOCA “CHILDFREE”?

MARGHERITA GIROMINI - 20/02/2014

Dopo le espressioni “smoke free” , “tax-free” e “gluten free”, ci è toccato leggere che anche in Italia è arrivata, importata dal Nord Europa e dagli Usa, l’espressione “child free”, che non va tradotta, ingenuamente, come: “non adatta ai bambini”! Bensì come: “libera da bambini”. Ecco dunque anche noi alle prese con il tema del nuovo divieto, tutto dentro il Terzo Millennio, riferito ai minori, con relative prese di posizione degli esperti. È forse vero che oggigiorno i bambini sono meno educati rispetto a una volta. Ma non potrebbe essere che, poiché ne circolano, nei luoghi degli adulti, molti più di un tempo lontano, quando bambini e ragazzi giocavano nei cortili e nei prati, oggi ci sembrano troppi e troppo rumorosi?

Colpa dei genitori permissivi, o non abbastanza autorevoli da ottenere obbedienza in un tempo ragionevole; o magari colpa degli adulti senza figli che non vogliono sopportare quelli degli altri. Una cosa è certa: a nessuno fa piacere un bambino che corre tra i tavoli del ristorante rischiando di precipitarci addosso, ma non si capisce perché si debba passare rapidamente ad esercitare la “tolleranza zero” proprio nei confronti dei piccoli, che sono individui in crescita e in formazione. Dovremmo, semmai, prendercela con gli adulti (e non sono pochi) irrispettosi dei diritti altrui.

Qualche anno fa mi ero imbattuta nella notizia che in un paese del Nord Europa era stata ideata una zona residenziale dove le case possono essere acquistate solo da persone senza bambini. Eleganti quartieri verdi e “child free”, dove trascorrere tranquilli week end, al riparo da strilli, passeggini, tricicli e pallonate. Un mondo nuovo, con gli adulti silenziosi al di qua, e i bambini rumorosi di là, qualcosa di simile ad un inquietante sogno senza sonoro.

Intanto dagli Usa è giunta l’era dei cosiddetti “dink”. Chiedo scusa per l’abuso dell’inglese ma certi neologismi possono solo essere espressi solo nella lingua dei paesi dove sono nate le relative teorie sociali, come quella di cui parliamo. I dink sarebbero, dunque, secondo la sociologia anglosassone, adulti benestanti caratterizzati da “double income no kids” (doppio stipendio, niente figli).

Ho pensato che saranno forse i “dink” italiani ad affollare, gratificando il proprietario, la nota pasticceria – pizzeria di lusso del Bresciano, una delle prime “child free” in Italia. Sette anni di guadagni in costante crescita e alcuni imitatori, anche loro in aumento, starebbero a dimostrare che il bisogno esiste davvero. Ryanair ha annunciato che lancerà i voli senza bambini; esistono da tempo villaggi turistici solo per adulti, così come alberghi che vantano questa opportunità. Non si tratta di luoghi di lussuria vietati ai minori bensì di posti di lusso dove l’assenza dei bambini costituisce “il” valore aggiunto.

Un resort in Toscana promette: “La vostra vacanza non sarà disturbata dagli schiamazzi dei bambini!”, mentre a Roma alcuni ristoranti si autodefiniscono “club” in modo da avere solo ospiti over 18. E l’elenco potrebbe allungarsi, con nomi e cognomi dei posti dove determinate categorie di persone desiderano passare il proprio tempo libero in santa pace. Un sacrosanto diritto. Che però mette tristezza, pochi anni dopo la fine del Novecento, battezzato “il secolo del bambino” perché tanto si è fatto, in quei decenni, per studiare, capire, aiutare, amare di più, il bambino. Tanta pedagogia e tanta psicologia, per citare solo due delle scienze che hanno sviluppato rivoluzionarie conoscenze sul piccolo dell’uomo, per trovarsi davanti, oggi, su un diffuso settimanale femminile, agli esiti di un sondaggio sul tema.

Il 60 % degli intervistati (si suppone in prevalenza donne) si è dichiarato d’accordo sulla proposta di ampliare il numeri dei locali “child free”. Nel restante 40% credo che rientrino, se interpellati, gli esperti di Adiconsum che minacciano ricorsi contro la palese lesione dei diritti dei consumatori.

D’accordo con le battaglie che Adiconsum vorrà intentare ma ammetto che una certa inquietudine rimane.

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