Gli stranieri regolarmente residenti ammontano in Svizzera al 23 per cento della popolazione complessiva. Da noi invece sono il 7,5 per cento (secondo dati del 2011). Qualsiasi serio commento sull’esito del referendum popolare svizzero in tema di immigrazione, non può che prendere le mosse da questo fondamentale elemento. Nonostante l’avviso contrario del Parlamento della Confederazione, dando la maggioranza ai “sì” seppur sul filo del rasoio (sono stati il 50,5 per cento contro il 49,5 per cento dei “no”) il popolo elvetico ha votato a favore della definizione di un limite all’immigrazione e quindi di una rinegoziazione degli accordi bilaterali vigenti tra Berna e l’Unione Europea in forza dei quali era stato stabilito il principio della libera circolazione delle persone appunto tra l’Unione ela Svizzera.
In forza di tali accordi, siglati prima dell’inizio della crisi economica internazionale (da cui l’economia elvetica risulta finora largamente immune), in questi ultimi annila Svizzeraè divenuta meta di un afflusso rapido e rilevantissimo di cittadini di Stati dell’Unione Europea, tra cui moltissimi nostri connazionali. Anche se per il momento tale afflusso è sostenibile da un punto di vista economico, il suo impatto sia sociale che culturale comincia a divenire molto rilevante. Tra l’altro sta incidendo negativamente sulla capacità dei sindacati di difendere il valore dei salari dei lavoratori, sia svizzeri che immigrati. I nuovi venuti, i quali spesso cercano lavoro in Svizzera perché disoccupati in patria, sono infatti più disponibili a lavorare in modo irregolare o comunque sottopagato. In un Cantone come il Ticino, che ha poco più di 341 mila abitanti (e una percentuale di stranieri residenti superiore alla media nazionale svizzera) ai lavoratori stranieri residenti si aggiungono i lavoratori frontalieri, che cioè lavorano nel Cantone ma abitano in Italia, per lo più in Lombardia. Questi negli ultimi anni sono raddoppiati passando da30 a60 mila, e costituiscono oggi circa un terzo della forza lavoro impiegata dall’economia ticinese.
Nei due Cantoni in cui consistela Svizzera Italiana, il Ticino, che è totalmente di lingua italiana, e il Grigioni, che lo è in parte, i “sì” sono stati rispettivamente il 71,8 e il 64,6 per cento: di più insomma della media nazionale. Sono i Cantoni dove pesa anche la concorrenza degli artigiani italiani (idraulici, elettricisti ecc.) cui gli accordi bilaterali con l’Unione Europea hanno aperto i mercati locali.
Per solidarietà nazionale possiamo anche dispiacerci dell’esito di questo referendum, anche se poi, andando a vedere come gestiamo noi l’immigrazione straniera, avremmo buoni motivi per evitare i giudizi perentori che la stampa e le Tv italiane si sono permesse in questi giorni. Si aggiunga poi che molti di tali giudizi sono anche frutto di cattiva informazione. In realtà infatti nessuno in Svizzera sta rimettendo in forse i diritti acquisiti dagli stranieri residenti e dai frontalieri regolarmente occupati, tanto più che il loro apporto all’economia elvetica è necessario e rilevante. Con voto popolare si è stabilito che si debba porre un limite alla libera circolazione delle persone tra un’Unione Europea che ha quasi 503 milioni di abitanti e una Svizzera che di abitanti ne ha poco meno di 8 milioni. Non ci sembra una scelta così irragionevole e retrograda. Piuttosto che stracciarsi le vesti e minacciare l’assedio sarebbe meglio che l’Unione Europea — con lo specifico contributo dei suoi Stati membri confinanti conla Svizzera, tra cui l’Italia – facesse a Berna delle nuove proposte le quali tengano conto di tutti i legittimi interessi in gioco sia da una parte che dall’altra.
robironza.wordpress.com
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