La nostra caserma, che tanto sta facendo parlare di sé, ha vissuto, nel perimetro dei suoi esausti muri, alcune belle storie da evocare. Chi gira impietoso attorno al malandato corpo, gridando “tiratela giù, tiratela giù “, insofferente dell’ingorgo automobilistico, forse ignora quanto di vita e passione e sofferenza e attesa abbia animato le sue sale, che oggi sanno di ombra e memorie passate, e, per qualcuno, di attesa mortale.
La caserma, costruita nel 1867, fu dedicata a Garibaldi. Era un segno di riconoscenza della città per chi aveva combattuto a Varese in sua difesa, scrivendo qui una tra le prime, fondamentali pagine del Risorgimento.
Tra le gloriose – e più liete – memorie legate alla caserma, c’è da registrare la presenza di Francesco Tamagno, allora giovane soldato di leva, destinato a diventare, come qualcuno avrebbe scritto, “il più grande fenomeno canoro dell’Ottocento”. Tamagno, allora diciottenne, si era nel 1869, fece qui il suo servizio militare, alloggiando negli stanzoni ancora freschi di vernice.
Nato a Torino, subito innamorato della dolcezza del nostro paesaggio, si portava appresso la nostalgia di giovane uomo lontano da casa, annegandola nella malinconia leggera della collina.
Un episodio che lo riguarda rimanda a una sera d’estate.
Il soldato Tamagno, arrivato coi commilitoni alle pendici del monte Chiusarella per un’esercitazione, preso dalla profondità della notte e del cielo stellato, non riuscì a trattenersi, contravvenendo alla disposizione di non disturbare il sonno della truppa. E, colui che sarebbe stato soprannominato dai giornali inglesi “il cannone Armstrong dei tenori” dispiegò nella valle la piena potenza della voce, infrangendo gli ordini. La punizione non si fece attendere e Tamagno pagò la trasgressione con diversi giorni di rigore. Ma bene aveva fatto a trasgredire, perché gli stessi ufficiali, ligi al regolamento, provvidero poi a indirizzarlo a loro spese presso un maestro varesino, che avrebbe contribuito a migliorarne le potenzialità canore e artistiche, già dimostrate in altre occasioni, su qualche palcoscenico minore. Le indiscusse qualità di Tamagno lo avrebbero in breve condotto a una strepitosa carriera di interprete operistico, fino a diventare tra i più stimati protagonisti dell’opera verdiana, prediletto anche dal Maestro.
Ormai celebre, sarebbe poi sempre tornato a Varese, dove aveva acquistato la bella villa sulla collina di Giubiano, Villa Albuzzi del Pero, poi proprietà dell’Ospedale. Trascorreva nella dimora neoclassica, appartata nel verde, soggiorni prolungati. Vi si trasferirà poi definitivamente negli ultimi anni della sua vita. Che terminerà proprio qui, a soli cinquantaquattro anni, vinto da cardiopatia.
Il tenore apriva a tutti la sua villa ogni anno, in occasione della ricorrenza dedicata a Santa Elisabetta, il 2 agosto. Invitava i varesini a festeggiare con lui, e i più cari amici a giocare a lunghe partite di scopa e tarocchi. Si dice che quando poi si deliziava di intrattenere gli ospiti cantando, affacciato a un balconcino della cappella della villa adibita a sala di musica, i cristalli dei lampadari vibrassero.
La sua affezione per la città fu, insomma, totale e per sempre.
Potrebbe essere pari quella di Varese per lui?
Se avremo il teatro nel perimetro della caserma – o dove mai sarà – ma sarebbe significativo fosse proprio lì – intitoliamolo a Tamagno. Nella speranza che possa tornare magari anche un po’ di bel canto. Come ai tempi in cui al Teatro Sociale ci si poteva vantare di arrivare in palcoscenico, precedendo la Scala, con certe prime di alto livello. Al Sociale cantò più volte anche il nostro Tamagno e con lui, e dopo di lui, lavorò una folta schiera di interpreti celebri, sia attori sia cantanti: erano Gigli, e Zacconi, Giacchetti e Musco, Dina Galli e tanti altri, come ricorda il bravo Leopoldo Giampaolo che nella sua Rivista della Società storica varesina rimanda in proposito ai taccuini dei cronisti locali.
Si legge nella Rivista che nel 1889 Tamagno tenne al Sociale un recital benefico e la Cronaca Prealpina scrisse: “Quando si presentò il commendator Tamagno, ormai nostro concittadino, un prolungato e caldo applauso scoppiò nell’affollato uditorio. E con ciò si volle dimostrare all’illustre artista quanto e come si pregiassero in lui i meriti del cantante e quelli eziandio dell’uomo di cuore che aderì subito al desiderio di chi lo aveva invitato a cantare, non solo, ma si pose corpo ed anima a lavorare nell’intento di assicurare l’esito artistico e …finanziario del concerto”.
Questo era il cuore di Tamagno.
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