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Storia

IL CADORNA ESORCIZZATO

VINCENZO CIARAFFA - 14/02/2014

Dall’album fotografico di un combattente

Gli insegnamenti tattici provenienti dal fronte occidentale dimostravano, chiaramente e tragicamente, che la tecnologia aveva preso il sopravvento sulle qualità individuali del combattente e che, pertanto, era finita l’era degli attacchi frontali. Purtroppo, le sanguinose esperienze delle battaglie della Somme e della Marna non ebbero il potere di indurre il nostro Capo di Stato Maggiore a rivedere la tattica. Infatti, la prima circolare che egli inviò alle Unità era assurda perché, in tempi di aeroplani da combattimento, di carri armati, mitragliatrici, oltre che alla sempre più devastante artiglieria, la sua dottrina rimaneva quella di un Generale dell’Ottocento e che si poteva sintetizzare in due sole parole: «Attacco frontale!». L’attacco frontale, però, presupponeva la capacità di condurre una guerra dinamica contro un avversario scarsamente disposto in difesa mentre – come abbiamo visto – gli austriaci ci aspettavano bene attestati in alto.

Se a tutto questo aggiungiamo che, per numero e calibro, non avevamo sufficiente artiglieria per battere le alture, si capisce che quella nostra era destinata a divenire non una sanguinosa guerra di posizione, ma addirittura la sua apoteosi. Purtroppo, la mania dei nostri governanti di andarsi a ficcare frettolosamente in ogni guerra per paura di non fare in tempo a sedere al tavolo dei vincitori, non diede tempo allo Stato Maggiore di fare alcune, semplici considerazioni.

Nelle guerre precedenti i soldati degli eserciti europei erano in grado di avanzare sul campo di battaglia alla velocità di due chilometri l’ora, affrontando il fuoco di fucili che sparavano due colpi al minuto, mentre con l’avvento della mitragliatrice essi si trovarono a fare i conti con una cadenza di fuoco di quattrocento colpi al minuto. In altre parole, essendo che gli austriaci, oltre a stare in alto rispetto a noi, schieravano anche il triplo delle nostre mitragliatrici, la tattica di Cadorna dell’attacco frontale accresceva di oltre duecento volte la possibilità per i nostri soldati di essere uccisi.

Quando sentiamo parlare di guerra di posizione, subito pensiamo a contrapposte trincee dalle quali i soldati si sparavano addosso rimanendo al coperto e relativamente al sicuro. In realtà, in termini di vite umane, la guerra di trincea era molto più dispendiosa di una guerra dinamica, perché le trincee nemiche dovevano essere conquistate con ripetuti, sanguinosi assalti allo scoperto e sotto il fuoco delle mitragliatrici, e questa ineludibile esigenza, oltre ad allungare la durata complessiva delle ostilità, faceva costantemente lievitare il numero dei caduti. E non poteva che essere così, perché Cadorna, come anche i Comandanti di tutti gli eserciti in lotta, non si rese conto che, con tale tattica, assegnava alla trincea una funzione che non era molto diversa da quella che avevano le Legioni dell’antica Roma, due millenni prima, però. Nella Legione, infatti, i militi della prima schiera, dopo aver lanciato il giavellotto, caricavano di corsa per affrontare il corpo a corpo con il gladio, invece che con la baionetta come saranno costretti a fare i nostri eroici fanti per quarantuno mesi.

Era inevitabile che le dodici grandi battaglie che si svilupperanno sotto il comando di Cadorna, invece di essere – come lui amava definirle – «spallate» al dispositivo militare austriaco, si trasformassero in veri e propri macelli, con perdite umane che, in alcuni momenti, raggiunsero il quindici per cento. Tra l’altro, la facilità con la quale egli rimuoveva i comandanti sottoposti con i suoi famigerati siluramenti, e il personale convincimento che ogni arretramento – per quanto inevitabile – fosse come un tradimento, impedì in moltissimi casi l’applicazione del concetto della manovra elastica.

La conseguenza pratica di tutto ciò fu che i Reparti in difficoltà, invece di ripiegare, si facevano massacrare sulle loro posizioni sicché, soltanto nei primi sette mesi di guerra, furono messi fuori combattimento 246.000 uomini e destituiti 27 generali: in media la perdita di 1.171 uomini al giorno e la rimozione di un Generale a settimana. Insomma, quando un Generale incominciava a capire qualcosa dai propri errori, Cadorna lo sostituiva con un altro che, ovviamente, si trovava a gestire un quadro tattico in evoluzione e che neppure conosceva.

Sulle cartoline di propaganda disfattista che dai loro aerei lanciavano sulle nostre linee, gli austriaci rappresentarono il soldato italiano con la testa di leone, l’ufficiale inferiore con la testa di cavallo e il Generale con la testa di asino. Per la verità, quella guerra zoomorfa l’aveva iniziata Garibaldi anni prima, quando affibbiò ai suoi tre asini di Caprera i nomi dell’imperatore francese Napoleone III, dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe e del papa Pio IX. Non saranno stati proprio delle teste di asino, però i Generali italiani – come pure i loro colleghi delle opposte alleanze – un limite lo ebbero, e non era un limite da poco. La maggior parte di essi aveva compiuto il cursus honorum in Africa, in Asia o in Medio Oriente contro truppe che, per usare il metro europeo, potevano definirsi di cavalleria e di fanteria leggera. Sicché la scarsa consistenza tecnologica dei loro avversari conferì agli ufficiali europei innegabili vantaggi sul campo perché essi, non dovendo fare i conti con delle organizzate artiglierie, mitragliatrici, e aerei poterono imprimere alle battaglie coloniali una propulsione difficilmente realizzabile contro un esercito del Vecchio Continente. Il limite professionale dei comandanti della Grande Guerra, infatti, fu quello di non avere capito subito di trovarsi a fare i conti con un nuovo, tremendo nemico: la tecnologia.

Dal punto di vista professionale, dunque, Cadorna non era molto diverso dai Generali degli altri eserciti belligeranti, se non perché il suo aspetto intristito, l’incapacità di fare autocritica ed un carattere austero e testardo oltre ogni immaginazione, gli avevano cucito addosso la fama di iettatore. E una tale fama era il peggiore accidente che potesse capitare a un capo militare che stava conducendo milioni di uomini in battaglia. «È Cadorna è quella cosa / Che comanda sul carton / Se lo vedi fai le corna / E poi toccati i coglion». Così i giovani ufficiali esorcizzavano, assieme ai loro sottoposti, i presunti poteri iettatori del Generalissimo quando si annunciava una sua ispezione nelle loro trincee.

A parte il tratto caratteriale che gli impedì di entrare, per così dire, in empatia con i propri uomini, la scelta di Cadorna come Capo di Stato Maggiore si rivelerà sbagliata, soprattutto, perché egli era ossessionato dal ricordo delle nostre passate sconfitte militari: «Io ero il capo dell’esercito di Custoza e di Adua. Dovevo far dimenticare il passato dell’Italia; gli altri non avevano nulla da far dimenticare!». Dio soltanto sa con esattezza quante madri in gramaglie, quante vedove e quanti orfani furono da attribuirsi alla sua ansia da prestazione! Con certezza è possibile soltanto dire che la cifra dei caduti al fronte si dilatava in modo così mostruoso che, in molte città e paesi della penisola, le autorità proibirono ai preti di suonare le campane a morto per non portare al punto di rottura l’angoscia della popolazione civile. Quegli avvenimenti, uniti al fatto che nel frattempo – con i suoi siluramenti - Cadorna aveva destituito la bellezza di 217 Generali, 255 Colonnelli e 335 comandanti di Battaglione, saranno causa non secondaria del disastro militare che si approssimava.

Seconda di quattro puntate. La prima è stata pubblicata l’8 febbraio 2014

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