Titolo d’apertura della pagina, una foto grande, intervista lunga e dai contenuti esplosivi: ecco come, durante la quotidiana lettura della Gazzetta dello Sport, mi imbatto dopo anni e anni in Antonio Marano, mio antico direttore a Rete 55, oggi il numero due dei vertici gestionali della RAI. E nell’intervista Marano fa capire tutto il suo fuoco d’amore per il servizio pubblico televisivo prendendosela anche con il neopresidente del Coni per la sua lontananza culturale da questioni legate al rapporto Rai-Tv.
Non dell’intervista però desidero parlare, mi sembra opportuno invece segnalare la lunga marcia di un altro varesino verso traguardi negati a chi non ha intraprendenza, passione per il mestiere che fa e grinta. Succede spesso di non accorgerci che nella lunga notte di Varese, la stessa calata sull’intero Paese, ci siano ancora non poche luci accese: uomini, aziende, comunità che non accettando sconfitte continuano nella loro azione positiva. Noi cronisti si può essere più o meno bravi e fortunati, ma il mestiere dà a tutti singolare, utilissima capacità di inquadrare, capire i personaggi con i quali si ha a che fare.
Tutte le regole hanno eccezioni, due mi riguardano: scrissi un giorno che un giovane politico sarebbe andato lontano e infatti fece una vacanza all’estero in compagnia della cassa del suo partito; di Antonio Marano avevo previsto un possibile definitivo stop della sua carriera quando, invitandomi a diventare direttore di Rete 55, mi parlò del suo futuro politico – televisivo a Roma come esponente della Lega. Sbagliai alla grande, ancora una volta e per tre motivi: monsignor Pezzoni, prevosto di Varese, non smetteva di credere in una di quelle che considerava sue pecorelle smarrite; Antonio aveva effettiva competenza in campo televisivo a differenza dell’universo parlamentare, che si sarebbe presto inchinato davanti al Marano-pensiero espresso in un libro, dai congiuntivi perfetti, che annunciava il presente e il futuro della tv e connesse problematiche.
Il terzo motivo del mio flop previsionale: l’incubo della Valcava. Una leggenda, ma forse anche una verità che Antonio nei suoi anni varesini aveva diffuso in tutto il Nord e alla quale ricorreva ogni volta che si profilava qualche assalto alle tv private, alla diffusione della libertà di etere. La Valcava – sede bergamasca di ripetitori – divenne celebre anche a Roma, ma poi Antonio lavorando forte e senza mai far capire che fosse magari sfinito, fece dileguare pure cattiverie e stupidità che volevano una corte di saltimbanchi davanti alla porta del suo ufficio, per addentrarsi invece nei territori dove contano solo le capacità e non le spinte e le appartenenze.
Ho letto con attenzione l’intervista alla Gazzetta, mi è piaciuta l’autorevolezza di Antonio Marano, perché dà un segnale importante: si può e si deve credere in se stessi, ma occorre avere anche la capacità, una volta che si è sul ring della vita, di ricominciare dando forza e sostanza nuove al cambiamento che si vuole intraprendere.
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