Secondo dati recenti il 47% dei datori di lavoro lamenta l’incapacità, se non l’impossibilità, di trovare i lavoratori “giusti”. Sempre più studenti abbracciano nella scelta corsi di studio legati alla manifattura, nonostante la domanda in questo settore accusi un brusco calo. La conoscenza dell’inglese riguarda solo il 23% degli aspiranti, la competenza informatica soltanto il 18%. Si aggiunge, preoccupante, la constatazione che in Italia meno del 46% degli studenti trova occupazione al termine di uno stage, mentre la quota sale al 61% su scala europea. La norma vuole che si cerchino attitudini supportate da conoscenze. Fatto è che educatori e imprenditori non riescono a comunicare adeguatamente tra loro e il problema dell’esperienza pratica pone da noi questioni e soluzioni di particolare difficoltà attuativa.
Per un numero ancora elevato di giovani le difficoltà economiche aggravate dalla crisi ostano a un ingresso negli studi universitari, che in altri Paesi risulta più confortante: solo il 58% dei diplomati si immatricola (la percentuale di riscontro solo 10 anni fa si attestava sul 73%). Da noi altresì i risultati degli studi in termini di gratificazione economica e di successo appaiono ben meno convenienti e persuasivi, attrattivi su scala sociale che altrove. Così corre l’obbligo ingrato di constatare che oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni né studiano, oltre un certo livello, né lavorano, né risultano iscritti a corsi di formazione. Il fenomeno negativo era più accentuato al sud, ma ora tocca sensibilmente anche le regioni settentrionali. Dal 2008 ad oggi l’aumento è stato del 21,1 %.
In termini di stage (compresenza di studio e lavoro lungo l’iter formativo) solo il 3,7 % dei giovani affronta questa modalità di esperienza di contro al 12,9% del resto d’Europa (Germania e Regno Unito si accampano su migliori percentuali rispettivamente del 22,1% e del 18,5%). L’iniziativa lanciata da Confindustria di Orientagiovani non incontra ad oggi successi di rilievo. Eppure le esperienze positive e coraggiose di tirocinio non mancano nell’ambito di diversi istituti tecnici e professionali. Certo non tante e tali da scongiurare il pericolo che per il 2020 le stime di lavoratori qualificati sulla base di livelli più alti di istruzione/formazione si fermino sul 17% dell’Italia rispetto al 32% del resto d’Europa.
Eppure la riforma Gelmini affacciava il tentativo di costruire una scuola, che coniugasse al contempo l’efficienza economica e una certa idea di modernità, con attenzione alle esigenze poste dal mondo del lavoro in termini di competenze, più che di semplici conoscenze e secondo un piano programmatico di interventi volti alla razionalizzazione nell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili. Scopo di fondo era anche quello di ovviare ai ritardi dimostrati dai nostri alunni nell’apprendimento della matematica e nella comprensione linguistica. La riforma degli istituti tecnici, partendo dallo snellimento di settori e indirizzi e da una riduzione delle ore di laboratorio doveva approdare a un potenziamento nello studio delle scienze integrate (fisica, chimica e biologia), creando un più solido impianto di base.
Altra motivazione l’istituzione di un patto di corresponsabilità per l’assunzione precisa di impegni di partecipazione da parte delle varie componenti. Purtroppo sono rimaste persistenti le difficoltà nel sintonizzare la scuola con il mondo del lavoro (la didattica per competenze richiede peraltro tempi lunghi di maturazione). Il processo di uniformazione e di una maggiore omogeneizzazione ha reso più problematico il rapporto con le realtà locali, disattendendo certe aperture permesse dall’autonomia, col sacrificio di iniziative peculiari dei curricula.
Ecco perché la ministra Carrozza ha lanciato il piano ambizioso di una Costituente della scuola passando dal dialogo tra tutte le sue componenti, piano lanciato ufficialmente lo scorso 17 dicembre al momento della convocazione in Viale Trastevere dei direttori degli Uffici scolastici regionali.
Gli odierni sono anche tempi opportuni per un valido orientamento nel campo delle scelte di indirizzo da parte dei discenti. 6.6 milioni di euro sono stati specificamente investiti dal Ministero per questa delicata finalità. Si tratta di una scelta relativa alla scuola media superiore, ma anche concernente la strada da intraprendere dopo il diploma. Materia ancora aperta ad accese discussioni infine quella del valore legale dei titoli di studio.
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