Non sono assiduo spettatore delle fiction televisive. Anche quando sono ben fatte, come “Don Matteo” e “Montalbano”, oggi “Braccialetti rossi”, non riescono a coinvolgermi. Anche quando non sono prive di richiami a fatti e a valori veri, non riesco ad evitare di pensare che il loro linguaggio sia necessariamente, lontano dalla verità, sia quasi alienante. Solo per l’insistenza di Conformi, che voleva poi discuterne per costringermi a ripensare agli anni di piombo, ho visto due puntate de “Gli anni spezzati”.
Non mi sono particolarmente piaciute, anche se un paio di momenti mi hanno commosso: la morte del commissario Calabresi e lo spontaneo radunarsi della gente di Torino nel corteo organizzato dai quadri della Fiat per dire basta al terrorismo e all’occupazione della fabbrica.
Ciò su cui voglio riflettere oggi, sullo spunto di quella reazione emotiva, è l’insufficienza della memoria, a partire dalla mia. Intendo dire che non basta ricordare, per aiutare il presente ad avere un giudizio vero. Ci vuole uno sforzo grande di moralità, oltre che di intelligenza e, soprattutto, di umiltà.
Nello scorrere del tempo, inevitabilmente si selezionano i giudizi da trattenere come più importanti e veri, rifiutando o semplicemente trascurando aspetti controversi o poco appariscenti o non funzionali all’acquietamento della coscienza in una provvisoria assoluzione della propria parte politica o sociale, insomma di se stessi. Nel valutare tutta la clamorosa insufficienza della documentazione storica e dell’analisi filosofica e morale di una parte di storia d’Italia tanto importante, mi sono comunque accorto di una altrettanto clamorosa, anzi doppia mancanza mia.
In primo luogo, mi sono reso conto di quanto poco avessi capito allora, durante lo svolgersi degli avvenimenti, delle ragioni profonde degli stessi, del loro stesso svolgimento, pur essendone stato un testimone, in certo modo, privilegiato, essendovi coinvolto come deputato al Parlamento, ma ero anche stato studente universitario in Cattolica al tempo di Capanna, insegnante di filosofia al Liceo nel 1969 e conoscevo bene il parroco di Calabresi…
Più ancora mi sconcerta la mia attuale incapacità di rispondere adeguatamente alle insistenti e pertinenti domande dell’amico Sebastiano Conformi, in particolare ad una: perché allora è capitato tutto questo e ora, in una situazione di crisi apparentemente molto più grave, non capita nulla? Forse perché si sparano insulti su twitter e sui blog non si sente il bisogno di P38 e di kalashnikov?
Mentre ci ripenso, mi sorgono altre domande ancora, altri interrogativi senza risposta, che avevo semplicemente rimosso, per mia comodità o per l’influsso, involontario o maligno, non so, del gigantesco sistema della comunicazione di massa, che per sua logica ha bisogno della notizia nuova, più che di quella vera, perché è la nuova quella che si vende.
Che fare? Provare a dare le risposte, non ci penso nemmeno, non ne sono capace. Certo ci sarà pure stata una ragione, una curiosità, una coscienza infelice se ho conservato per tanti anni gli immensi volumi delle Commissioni d’inchiesta sul caso Moro, sulle stragi, sulla mafia altre su cose simili…
Ma non basterebbe una vita intera e ora … ho altro cui pensare, ho troppo da fare.
Il presente incombe, ora come allora e cancella presto le domande e distorce le risposte, le piega a se stesso, al suo inarrestabile divenire. Mi viene il dubbio che non sia un male, che come per la mente umana così per la società la dimenticanza sia una funzione igienica, un modesto surrogato al giudizio e al perdono e un rimedio alla difficoltà mantenere un giusto equilibrio tra questi due poli, un rimedio alla parzialità del giudizio e all’incapacità di assumere il perdono come principio di una vita nuova. Ma non mi sta bene, non del tutto. Bisogna accettare l’imperfezione umana, d’accordo, l’ho sempre sostenuto, ma non può andarci di mezzo la verità e non quella storica, che ormai, ci sarà tutto il tempo per rimediare, ma quella del presente e dell’immediato futuro. Se possiamo essere lieti che l’ideologia, come pretesa di spiegazione e addirittura di previsione universale della storia umana ci ha lasciati, fortunatamente disillusi, se nessuno più, in occidente almeno, giustifica l’omicidio del nemico come acceleratore della benefica e immancabile futura rivoluzione, la presente situazione dove si attribuisce la qualifica di male quasi-assoluto alla costruzione di una ferrovia o di un inceneritore, dove la negazione dell’olocausto diventa di volta in volta un crimine o un diritto, dove il segno di croce “offende” quanto un gesto osceno, mi lascia quasi altrettanto sgomento.
Filosofi, teologi, storici, politologi, sociologi, politici in servizio effettivo, fatevi avanti, non lasciate il campo agli autori delle fiction e dei reality e, tanto meno, ai conduttori di talk show e ai legislatori improvvisati selezionati dai twitter.
Abbiamo bisogno che la leadership sia data alla verità durevole, non all’immediatezza della notizia, se no finisce anche qui come nella vecchia cara Unione Sovietica di una volta, dove le fonti di informazione erano due quotidiani, la Pravda (Verità) e l’Isvetzia (Notizia), ma come dicevano tra loro i dissidenti, praticamente tutto il popolo, nella Pravda/verità non c’è notizia e nell’Isvetzia/notizia non c’è verità.
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