Ci sono persone, entrate nel cuore di chi le ha conosciute, che sanno suscitare sentimenti di affetto e devozione anche in quanti si sono avvicinati loro solo grazie alle testimonianze scritte o orali dei contemporanei.
Monsignor Sonzini, del quale ricorrono i cento anni dal suo ingresso nella parrocchia di Varese e altrettanti dalla fondazione del “suo” giornale, il Luce – che uscì per la prima volta in data 6 gennaio 1914 – è entrato di diritto nel cuore e nella memoria devota dei varesini. Chi ha letto, o almeno consultato, la corposa e puntigliosa biografia “Un Apostolo moderno Monsignor Carlo Sonzini canonico teologo a Varese 1878-1957” dedicatagli dalla giornalista varesina Antonia Massarotto, edito nel 1972 dalla Congregazione delle Ancelle di San Giuseppe, con prefazione di monsignor Ernesto Pisoni, non può non essere rimasto profondamente colpito dalla figura semplice e bonaria del sacerdote, che “della sua vita fece una ricerca costante di virtù concrete e di santità modesta e operosa”. E quanti hanno memorie personali, consegnate da testimoni preziosi, sanno dell’energia profusa dal buon canonico di San Vittore nel sostenere tante giuste cause.
La cura delle anime gli era particolarmente cara, e la esercitava con la dovuta severità, attraverso il catechismo e la confessione. Rimasero famose le sue prediche, contro i balli e i costumi troppo liberi del tempo, rivolte alle ragazze che frequentavano Casa San Giuseppe, da lui fondata nel 1934. Gestita in seguito dalla Congregazione delle Ancelle, le Sorelle che assistevano le giovani arrivate in città in cerca di lavoro dalle campagne della Brianza, del Veneto o del bergamasco, la Casa San Giuseppe, il cui edificio di via Griffi 5 era stato acquistato dallo stesso Sonzini con i soldi dell’eredità paterna, rappresentava un rifugio accogliente, pulito e provvido per le ragazze povere. Erano per lo più domestiche che dovevano sostenersi economicamente e contribuire anche al mantenimento delle famiglie lontane. Lungimirante come un buon padre di famiglia, monsignor Sonzini aveva pensato a loro, dimostrando grande capacità di interpretare i nuovi tempi che andavano profilandosi per il mondo femminile.
L’intransigenza, che era protettiva cura nei confronti di donne certamente insicure e bisognose di essere seguite e sorrette nella forzata lontananza dalla famiglia, la diceva lunga sull’energia e risolutezza di questo sacerdote, figlio di umili negozianti di Malnate, entrato ancor giovanissimo in seminario e ben determinato a seguire da subito la sua precoce vocazione. Che divise tra la cura delle anime e il giornalismo, armato di stola sacerdotale o di penna, a seconda delle necessità del momento.
Non fu infatti l’assistenza alle giovani il solo ambito in cui Monsignor Sonzini si impegnò in prima persona. Il suo impegno si estese anche al giornalismo, rivelandosi da subito intelligente interprete del ruolo e del significato che la presenza della Chiesa doveva assumersi nel mondo dei media. Collaborò al quotidiano cattolico “L’Italia”, che contribuì, non senza personali sofferenze e difficoltà, a salvare e risanare finanziariamente, su richiesta dei superiori. E fondò con monsignor Rudoni il Luce, settimanale cattolico al quale si dedicò fino agli ultimi anni della sua vita, che fu voce puntuale, preziosa e libera nel panorama difficile e contrastato di una stampa limitata nel ventennio fascista dalle censure di regime.
Proprio in quel tempo don Sonzini seppe dimostrare ulteriormente il suo coraggio di sacerdote e uomo libero, di fronte alle minacce verso i perseguitati ebrei e politici. Casa San Giuseppe divenne ancor più rifugio di anime in cerca di conforto e di pace e numerose furono le persone salvate grazie al coraggio delle Ancelle e dello stesso Monsignore, che non esitò a ricorrere a personali espedienti e sotterfugi per strappare gli ospiti perseguitati alle mire dei carnefici, come riferisce puntualmente anche il libro della Massarotto, citando nomi e circostanze.
Per tutti questi motivi, e per tanti altri ancora, il viso bonario e rotondo di Monsignore, sormontato dagli occhialetti, divenne caro ai varesini che lo incontravano spesso per le vie della città, il passo svelto e deciso, sempre impegnato com’era a recar conforto a qualcuno. Sulla porta del suo studio al Luce, il direttore Sonzini aveva fatto affiggere un cartello con la scritta “Dio Benedica chi non mi fa perder tempo”. Perché il suo tempo, in buona parte dedicato a chi necessitava di aiuto, era davvero prezioso: e concesso senza averne nulla in cambio, se non la riconoscenza devota di chi l’avrebbe benedetto per sempre.
Monsignor Sonzini morì, in perfetta povertà, il 5 febbraio 1957, pensando alla sua accogliente Casa, accudita dalle Ancelle, e al suo Luce, il foglio che aveva saputo governare per anni, conducendolo nelle difficili acque della comunicazione.
Lasciava ai fedeli lettori un buon giornale, ricco di informazioni, ma soprattutto un indispensabile strumento, perché messaggero di verità, di buoni insegnamenti e di Consolazione.
Di Monsignor Sonzini è in corso la causa di beatificazione.
Per conoscere il programma delle iniziative in ricordo di Mons. Sonzini promosse dal Decanato di Varese clicca qui
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