Niente di più bello, anche se può essere venato di nostalgia, del ricordo di una cosa grande del passato, soprattutto se l’evento ha coinvolto l’intera città. I cronisti sportivi hanno scoperto che il football e il basket di storia bosina nella primavera di cinquant’anni or sono coglievano due inattesi, strepitosi successi: rispettivamente la prima promozione in serie A e la conquista del secondo scudetto.
Dalla diga della memoria è arrivato un fiume di episodi, di emozioni, di orgoglio e pure di raffronti con la situazione attuale del nostro sport professionistico. Calcio e basket in certe occasioni mobilitano anche più di diecimila appassionati.
Certamente sono numerosi anche i cittadini del tifo seduto e appunto si sottopongono al gioioso stress dell’evento sportivo solo con tv, radio e internet. Si tratta in buona parte di coloro che ricordano, con la fierezza e la soddisfazione del “c’ero anch’io”, quei giorni di vittoria.
Per me erano i tempi dei primi passi professionali a Varese, dove ero arrivato nell’ottobre del 1963: non avrei potuto iniziare meglio l’attività nella città dei miei nonni paterni. Ebbi infatti modo di seguire da vicino le vicende del basket, il calcio aveva il suo leader in Franco Giannantoni, che ne descriveva alla grande anche le imprese domenicali, definibili miracolose tenuto conto del livello della squadra, varata per un discreto campionato di B, non per la promozione in A.
Giannantoni ebbe anche il merito di colmare una lacuna scrivendo la storia della società biancorossa: nel settembre del 1966 presentò infatti “Cinquant’anni di calcio a Varese”, un libro anticonformista anche nella sua veste grafica, dovuta a Ettore Mocchetti, varesino all’inizio di una travolgente carriera editoriale.
Non volevo accodarmi a Massimo Lodi (il secondo Lodi, figlio dell’amatissimo direttore nel mio percorso professionale) o a Ettore Pagani nell’affrontare tematiche sportive, l’introduzione mi serviva per affrontare ben altro argomento che ho trovato rileggendo la storia dell’avventura del calcio varesino.
Lo spunto me lo ha dato proprio Giannantoni che ha dedicato il suo ormai introvabile libro a un importante anniversario. Recita la dedica, impressa a grandi lettere e con singolarità sul bordo della prima pagina intonsa: PER I CENTOCINQUANTA ANNI DI VARESE CITTA’.
Varese nel 1816 era stata elevata a rango di città da Ferdinando I imperatore d’Austria e nel 1966 la comunità ha voluto giustamente ricordare e festeggiare l’evento con iniziative varie. Ci fu anche un viaggio a Roma con udienza papale grazie a monsignor Pasquale Macchi, segretario di Paolo VI.
Il giovane Giannatoni con la dedica dimostrò di avere attenzione alla storia e lo fece sin da allora restando sempre personalmente ben lontano da venerazioni imperiali e non trascurando mai educate allergie a fumi e potere delle candele. Allergie che non gli impedirono, da affidabile storico, di mettere in grande evidenza e di onorare il ruolo eminente avuto dalla Chiesa varesina nella Resistenza.
Nel 1966 si era negli anni ruggenti di Varese: primati nel lavoro, nell’economia, nello sport. Nel 2016, quando ci sarà il duecentesimo anniversario di Varese città, avremo ben altra situazione. È meglio non avventurarsi in pronostici e pensare invece a che cosa fare sin da oggi perché la ricorrenza possa trovare la nostra comunità più serena e fiduciosa.
Per esempio si può e si deve utilizzare al meglio i soldi che la Regione ha destinato alla riqualificazione di piazza Repubblica, teatro compreso. Come cittadino apprendendo la notizia del notevole stanziamento ho auspicato collaborazione se non unità di intenti nella realizzazione del progetto, il tutto per evitare i flop del passato come le funicolari, il mancato trasferimento in periferia degli ospedali avendo i soldi per realizzarlo, per non parlare della viabilità. La reazione della politica a questo auspicio è stata immediata: sagra delle contestazioni tra partiti, teatrini che lasciano il tempo che trovano, gli insulti più o meno velati di sempre. Quando c’è di mezzo l’urbanistica ci sono personaggi che danno il peggio convinti di realizzare il meglio per la città.
Il finanziamento regionale anche se non può coprire l’intero preventivo di spesa è decisamente importante: richiede oculatezza e buon senso nella realizzazione delle opere, ai quali va aggiunta onestà intellettuale, capacità di ascolto e collaborazione nell’interesse della comunità. La politica si decida a tenere conto dei tempi mutati, della nascita di una società nuova, arrabbiata, che si attende cambiamenti non solo a Roma. La città è stufa di vedere calare dall’alto decisioni inopinate, ma la città ha le sue colpe, la più grande storicamente è quella della delega in bianco ai partiti.
I duecento anni di Varese città sono una grande opportunità per cancellare errori passati e per rinnovare un viaggio nel tempo meno avventuroso e povero di futuro di quello intrapreso con la Seconda Repubblica.
Passare in due anni dalla Balilla di Jannacci all’astronave è impensabile, però, anche se si è a piedi, tagliare il traguardo con dignità sarebbe un segnale di grande speranza. Varese se lo merita e lo chiede.
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