Occorre fermare con il rigore della legge, prima che sia troppo tardi, la deriva della Lega Nord, L’azione oltranzista che sta sviluppando, lascia intendere che avere la pelle nera (“negritudine”, ha precisato un senatore leghista per non essere equivocato) è sintomo di regresso e veicolo, assieme, di inquinamenti socio-culturali. La Lega fa sapere che chi afferma questo sbaglia di grosso e che gli attacchi al ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge sono “attività politica”. Una sorta di denuncia per affermare che la signora, originaria del Congo, laureata in medicina, non sa fare il proprio mestiere. Ma la verità è che la Lega sembra insofferente alla parola “integrazione” e sostiene i respingimenti voluti a suo tempo dall’allora ministro dell’Interno Maroni.
Non pago della “negritudine” e dell’assalto vile e sconsiderato alla ministra (“orango” la definì, ricordate?, Calderoli, quello della “legge porcata”, per poi scusarsi alla sua maniera), giorni fa il deputato leghista Gianluca Buonanno, per chiarire meglio il concetto tutto politico, si è tinteggiato il volto in aula di nero. Una vigliaccata. Come volere dire che, se non si è un po’ più scuri (diversamente etnici), a parità di misera condizione sociale, in questo Paese si rischia di avere qualche problema! Provocazione aggravata da un’altra espressione quando la ministra è stata paragonata, sempre da Buonanno, “ad un oggetto di arredamento”. Egli si è scagliato anche contro Gad Lerner, “ebreo, ricco e comunista” che si permette di solidarizzare con la Kyenge! Ha trovato modo di farsi notare in questa allegra sarabanda Jole Santelli, deputata di “Forza, Italia” con l’esilarante: “I neri? Hanno la fortuna di non doversi truccare come noi. Quindi sono fortunati”. Complimenti.
La contemporanea campagna sul quotidiano “La Padania” è, sul punto, esemplare. “Noi non siamo razzisti”, garantiscono i sostenitori di Maroni. Che male c’è ad ospitare in una rubrica giornalistica titolata per l’occasione “Qui Kyenge” i vari appuntamenti politici settimanali del ministro? Nessuno, afferma la direttrice. Infatti, per allontanare il sospetto, il giorno dopo il foglio leghista ha piazzato accanto al “Qui Kyenge” un “Qui Zanonato” come per dire, vedi ce la prendiamo solo con chi non dà buoni risultati, scuro o chiaro di pelle esso sia.
Nel frattempo il leader Matteo Salvini, autore del “chi tocca la Lega inizi ad aver paura”, ha formalizzato un patto d’alleanza elettorale europea con Marine Le Pen, ultranazionalista francese, alla faccia della coerenza federalista, saldando idealmente il “Sole delle Alpi” con i simboli della extra-destra continentale.
Sto leggendo, incantato dallo spessore storico e letterario, l’ultimo libro di Corrado Stajano “La stanza dei fantasmi. Una vita del Novecento” (Garzanti, Milano), là dove evoca ad un certo punto le pagine del dopoguerra del ’15-’18, la povertà, la disoccupazione, la fame, l’orgoglio degli ex combattenti amareggiati per le loro legittime attese violate in un Paese chiamato a una necessaria riconversione industriale dal settore militare a quello civile. Dai cannoni ai granai.
L’analogia con il tempo presente è impressionante. Lavoro zero, giovani a spasso, famiglie in rosso. La storia, si usa dire, non si ripete. Ho molti dubbi. Una recente statistica dice che il 70% della gente cresciuta nel ventennio berlusconiano ha fiducia nelle forze dell’ordine. Solo il 7% nei partiti. Fossimo in Sud America o in qualche Paese centroafricano la partita sarebbe chiusa coi militari e un bel dittatore. Ma attenzione a sorridere. Le prossime elezioni europee potrebbero spostare gli attuali equilibri politici. Il vento della reazione spira impetuoso pressochè nel disinteresse generale. Da est a ovest. Basti citare il Partito Nazionale slovacco, i Democratici svedesi, i bulgari di Ataka, i belgi fiamminghi del Vlamms Belang, l’Udc svizzero che vuole cacciare i lavoratori italiani, i liberal-nazionalisti austriaci del Fpo, gli antisemiti d’Oltralpe guidati dal “comico” Dieudonné, i Naziskinn senza scordare i vari Forza Nuova, Casa Pound e “I forconi” per citare i gruppi maggiori che da noi hanno spazio e pubblicità mediatica.
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