La Giunta comunale di Varese ha deciso per l’abbattimento della caserma Garibaldi, nel centro di Varese, perché diventata pericolosa per rischio crolli.
Quando la caserma è stata acquisita dal Comune di Varese erano evidenti le condizioni di pericolo?
La risposta che posso darmi è, per quanto a mia conoscenza, assolutamente negativa. Vi sono assonanze tra il modo in cui dal Comune di Varese sono stati gestiti il Castello di Belforte (teatro delle battaglie garibaldine) e la caserma intitolata a Giuseppe Garibaldi.
Mettendola sul ridere, si potrebbe pensare che Garibaldi sia la costante dei crolli di entrambi gli edifici e che, pertanto, l’eroe dei due mondi sia una figura che in Padania porti sfortuna al patrimonio immobiliare del Comune di Varese.
Affrontando la questione con serietà e parlando di atti concreti, rimango sgomento per la sinecura in cui sono stati trattati dal comune di Varese gli edifici pubblici. C’è stata tanta mancanza di attenzione: il proprietario non dovrebbe badare, per legge, alla buona conservazione dei suoi beni? Perché il Comune non si è allora mosso per il Castello di Belforte come per la caserma Garibaldi?
La attuale pericolosità della caserma (che è tutta di proprietà comunale) ha come principale ragione la mancata attuazione di piccoli lavori di manutenzione (rottura delle grondaie, spostamento dei coppi del tetto e così via), che con il tempo ne hanno minato la integrità. Leggo però con stupore le dichiarazioni del soprintendente per i beni architettonici della Lombardia, Alberto Artioli che, a proposito della caserma Garibaldi, si dichiara contrario a un eventuale abbattimento di una sua ala pericolante e della necessità, invece, della sua conservazione. Afferma infatti Artioli come “occorra pensare a un intervento di restauro, della caserma, di buon senso”. Ha dichiarato poi che “non è sotto tutela soltanto un Leonardo – pittore ma anche la caserma che ha un suo evidente valore. Occorre recuperare al massimo le sue qualità quale bene culturale”.
Ferme restando eventuali responsabilità comunali, e fermo restando che il disfacimento della caserma come del Castello di Belforte sono frutto di un processo estremamente lento, dov’era, mi chiedo, la Soprintendenza ai beni architettonici? Al posto di utilizzare strumenti di pressione, salvando il salvabile, secondo me, è apparsa dormiente, mancando di svolgere le operazioni di controllo che sarebbero, invece, state necessarie.
La Soprintendenza doveva portare nelle scuole notizia dei beni vincolati e doveva fare ogni pressione per la loro valorizzazione oltre a sviluppare un rapporto di concreta collaborazione con le associazioni del territorio.
Poteva. Pur essendoci il tempo è mancato, per quanto ho potuto rendermi conto, un suo intervento.
Le associazioni del terzo settore varesino hanno qualche responsabilità in proposito?
Anche qui la risposta che posso dare è assolutamente negativa: basta aprire gli archivi di ciascun ente per comprendere quante siano state le richieste di intervento sia al comune di Varese sia alla Soprintendenza e quante risposte da costoro siano mancate.
Ha perfettamente ragione l’architetto Ovidio Cazzola quando dice che la mancanza di soldi non può essere motivo per seppellire le nostre tradizioni.
Parlando del Castello di Belforte ho scritto che la politica deve cambiare marcia non rinunciando, come ora, ad agire ma, invece, stabilendo ogni conveniente alleanza per poter dare futuro ai resti del nostro passato. Non si può guardare al futuro facendo marciapiedi e parcheggi sotterranei!
La nostra città merita una forte azione di salvaguardia e di valorizzazione che non può essere negata per le esigenze di rispetto di bilancio, che è necessario superare. Ci vuole tempo e non si possono prendere solo delle decisioni all’ultimo momento e per di più costretti dall’urgenza. Deve essere approntato, e poi applicato, un documento regolativo sul recupero degli edifici storici.
Abbiamo poi Università sul territorio: mettiamole al lavoro perché possa nascere un dibattito sulla modalità di gestione della cosa pubblica. Dibattito i cui risultati non avrebbero una rilevanza solo varesina ma che potrebbero interessare tutto il paese.
La si smetta di prendere le decisioni dopo averle discusse solo al chiuso del Palazzo. La città diventi luogo di discussione, di incontro e di massimizzazione delle interazioni: un vero laboratorio di urbanità che possa rivelare il modo di valorizzare le ricchezze che Varese possiede senza che queste vengano fatte morire.
Affrontando, in particolare, il problema della caserma e guardando al futuro, a malincuore, colgo la proposta del professore Arnaboldi, architetto e urbanista dell’università di Mendrisio: è troppo tardi per sanare la caserma. Questa va abbattuta ma occorre individuare da subito quelle che possono essere le destinazioni dell’area sia dopo l’abbattimento della caserma sia al momento della costruzione di un edificio in sua vece (che auspico dirompente e d’alto valore architettonico).
Personalmente penderei per una utilizzazione dello spazio ex caserma, iniziale e temporanea, con una destinazione sportivo ludica e, poi, per una destinazione definitiva, legata alla cultura – biblioteca e teatro – e all’università. Università che non deve estraniarsi dalla città, ma che deve permearne le attività ed essere pienamente riconoscibile da parte di chi vi acceda.
Chiedo al sindaco di Varese di farsi promotore di un tale dibattito allargato che sappia proiettare Varese nel futuro e di confidare sulla capacità propositiva dei varesini. Egli nel fare ciò (cosa che sarebbe assolutamente dirompente) avrebbe dalla sua parte, del resto, la vigente Costituzione (combinato disposto degli articoli 1 e 9) che rende i cittadini responsabili della integrità delle bellezze del territorio.
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