Non ci sono più parole da spendere per convincere coloro che hanno la facoltà di poterlo fare di salvare in extremis il nostro secentesco castello di viale Belforte. Salvarlo dal crollo, quello definitivo, rinchiudendo la sua storica esistenza nei ricordi destinati, col tempo, a dissolversi. A questo proposito avevo molto tempo fa, nonché in un recente passato, scritto numerosi interventi attraverso la stampa sull’argomento.
Per quello che vale la mia opinione mi allineo con quelli che con piacere ho letto, favorevoli ad un intervento d’urgenza, anche se non risolutore. Ho conservato l’articolo su “La Prealpina” del 5 marzo 2002 che recita: Belforte, espugnato il Castello – Le chiavi al Sindaco – La cerimonia ufficiale a Palazzo Estense. Ma un quinto dello storico edificio non cambia “padrone”- Il Castello di Belforte è da ieri ufficialmente di proprietà dell’Amministrazione comunale. Subito i lavori per evitare nuovi crolli; senza dimenticare l’appello lanciato su “Tracce” di luglio-agosto 2000: Salvare quel poco che resta di quelle che furono la case Biumi di Belforte, dopo che erano state, nel medio evo, l’agguerrito Castello di Belfort, roccaforte imperiale e comitale contrapposta al borgo, filo milanese e – appunto – borghese; (Editoriale di Giuseppe Redaelli).
Sono, ahimè, trascorsi più di due lustri e poco o nulla è cambiato.
Varese, da sempre abitata dalle più nobili e facoltose famiglie, industriale e industriosa, non può perdere così un altro pezzo di storia (perché non ultimo), sotto gli occhi di tutti, nella più completa indifferenza o quasi.
Lo ricordo nel capitolo Reminiscenze belfortesi, dal mio libro “Varese e Cuvio – anni ‘40” (2009, Macchione), in cui rinnovo la sua storia e taluni avvenimenti che i non più giovani sicuramente rammenteranno, forse, con velata nostalgia.
You must be logged in to post a comment Login