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Società

CAPITALE DI PROVINCIA

MANIGLIO BOTTI - 17/01/2014

Una scena dal film “Il capitale umano”

Varese forse non sarà più a breve provincia, almeno amministrativamente, nonostante gli alti lai e le proteste, ma è destinata invece a restare per sempre provinciale. È quanto si desume dal dibattito seguito alla presentazione e alla proiezione del film “Il capitale umano” del regista livornese cresciuto a Torino Paolo Virzì, che ha girato alcune scene in piazze e strade della nostra città (Monte Grappa, Giovanni XXIII, Repubblica, Giovanni Borghi, via Vetera, via Marzorati…).

Virzì ha trasferito in un’ipotetica realtà brianzola chiamata Ornate l’ambientazione del Connecticut di un romanzo-thriller dell’americano Stephen Amidon. L’aridità dei personaggi e l’aria che – a detta di molti critici – si descrive nel film ha suscitato polemiche, magari rinforzate anche da generiche affermazioni dello stesso regista o del suo ufficio stampa, poi però immediatamente e opportunamente rintuzzate: “È soltanto un film, una commedia sociale: meglio discutere dei suoi contenuti”.

Ecco, appunto. Il responso popolare – come sempre – lo daranno il pubblico e il botteghino. Le prime risposte sembrano essere molto positive. Con ogni probabilità il film non eguaglierà i record d’incasso del film prenatalizio di Checco Zalone (Sole a catinelle), resta tuttavia un’opera da leggere e da vedere sui contenuti della quale, anche tecnici oltreché filosofico – sociali, ci si potrà sbizzarrire, ma rimanendo infine probabilmente ognuno della propria idea: il sindaco di Varese Attilio Fontana, della Lega, l’ha definito “Bello, davvero bello!”. Il presidente della Regione Maroni, che è uno dei primi costruttori del Carroccio lombardo, ha dichiarato invece che non intende andare a vederlo. Per mancanza di tempo? Per una sorta di ripicca intellettuale nei confronti di Virzi? Chi lo sa…

Recensori nostrani, pure scrivendo che non si tratta di un capolavoro assoluto, hanno giudicato il film interessante e importante, se non altro per gli omaggi visivi alla città varesina. Ma Virzì avrebbe potuto girare tutte le sequenze a Cesano Boscone o a Cinisello, senza che il film mutasse d’aspetto e di sostanza.

È proprio nel rimarcare certi aspetti esteriori – per altro nemmeno i migliori in senso canonico – della “varesinità” e nel vivere di riflesso la presunta polemica antinordista (la coda di paglia subito s’infiamma), che si evince il provincialismo, un tempo probabilmente molto meno evidenziato.

Se una volta – agli inizi degli anni Sessanta – Indro Montanelli poteva parlare di Varese e di un suo certo qual understatement (“…Ci stava Renato Simoni, ci stanno Guttuso, Piovene, Chiara, Corra. Ma nessuno si occupa di loro, nessuno li riconosce quando vengono in centro per comprare il giornale o fare una sosta al caffè… ”), oggi non è così. E magari cinquant’anni fa si esagerava: a Guido Morselli, per esempio, a differenza di Piovene, Chiara e Corra, sarebbe piaciuto essere riconosciuto, mentre invece anche a lui accadeva di trascorrere un pomeriggio al caffè in incognito. In ogni caso, adesso è il contrario e di quell’andamento pigro e disinteressato, quasi meridionale, o se si vuole da “nordisti” pratici e concreti, proprio non v’è traccia.

Pensiamo, tanto per non andar lontani, a Piero Chiara. Capita, a più di venticinque anni dalla sua scomparsa, di scoprire che in città tutti o molti erano suoi amici, tutti o molti ne raccoglievano le confidenze, tutti o molti ne leggevano i romanzi e i racconti in anteprima… Stando a quanto altri ricordano, però, Piero Chiara era persona sì disponibile, ma molto discreta. Luinese di nascita, abitava a Varese e gestiva questa sua presenza con grande distacco e ironia. Sui suoi veri amici – citiamo Guglielmo Vanetti di Casbeno, uno sparring partner di giochi e scorribande sul Lago Maggiore, quelle da cui in verità presero le mosse romanzi famosi come “La stanza del Vescovo” – è sceso molto presto l’oblio: chi era costui?

Segnalare poi quasi in maniera ragionieristica quante volte il nome della Prealpina, lo storico giornale quotidiano varesino, compaia nella sceneggiatura del film di Virzì può apparire cosa simpatica e anche foriera di buona pubblicità e conoscenza. Specie per chi vi è stato tanti anni e che spesso faceva fatica a spiegare che lavorava in un giornale vero e ben fatto e non in una fabbrica di mozzarelle. Ma le annotazioni, viste anche le critiche al film, sono quasi stridenti per la caratterizzazione, e forse un boomerang.

È soltanto una sensazione che, per non essere fraintesi, vorremmo tenere nascosta nel cuore: Giovanni Bagaini (uno dei promotori della provincia di Varese, tra l’altro) aveva battezzato la testata dandole un nome che, a nostro giudizio, faceva meno marchio e più giornalismo: Cronaca Prealpina – Gazzetta dei Tre Laghi; i serissimi protagonisti del CLN, dal 1945 al 1946, avevano chiamato il giornale Corriere Prealpino. Uomini fuori moda, e che non pensavano né al cinema né alla réclame.

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